LUGLIO 2008 - Scheda 01-2-3-4-5-6-7- 8- 9
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Da: Paulus.net

 

Vigila su te stesso

1Tm 4,16

Cari fratelli,
in questo Anno Paolino desideriamo rivisitare la testimonianza dell’apostolo Paolo tramite i brani citati e commentati con frequenza dal nostro Fondatore. Grazie all’esperienza di Paolo, “nostro fondatore”(come ci ricordava sovente il beato Giacomo Alberione), desideriamo riappropriarci integralmente della ricchezza carismatica che il Fondatore ci ha lasciato. Per ravvivare, così, il dono della missione paolina(cfr. 1Tm 4,14) che Dio ha donato a ognuno singolarmente e a noi tutti insieme. Buon Anno Paolino!

don Ampelio Crema

In ascolto

Vigila su te stesso”. Il beato don Giacomo Alberione riprende almeno 32 volte questa ammonizione di Paolo a Timoteo. Il “vigilare su noi stessi” vuol dire tenere presenti tutte le dimensioni della nostra identità vocazionale paolina: la preghiera, lo studio, la conoscenza profonda di sé, la vita interiore, la crescita operativa, la creatività apostolica (cfr. Abundantes Divitiae 151-158).
«Nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza. Fino al mio arrivo, dèdicati alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento. Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito, per indicazioni di profeti, con l’imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri. Abbi premura di queste cose, dèdicati ad esse interamente perché tutti vedano il tuo progresso.
Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo salverai te stesso e coloro che ti ascoltano» (1Tm 4,12-16).
«Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro» (2Tm 1,6-8).



La parola ci interpella

L’apostolo Paolo esorta il suo discepolo Timoteo a essere “esemplare” nella missione a lui affidata. Esemplarità nel comportamento, sapendo armonizzare l’agire e la parola con l’interiorità del cuore, rifiutando ogni sorta di doppiezza e di ipocrisia.
Seguono tre incarichi: lettura della Torah, spiegazione rivelando il compimento in Cristo della parola proclamata, istruzione sugli aspetti concreti del vivere quotidiano recanti, ora, l’impronta dell’opera salvifica di Cristo. Paolo considera e prende a cuore le difficoltà del suo discepolo. Le fatiche non devono abbatterlo. “Non trascurare il dono spirituale che è in te...”, “Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te...”.
Il “dono” è quello trasmesso tramite l’imposizione delle mani. Ma come può accadere che in un discepolo immediato di Paolo, quindi agli inizi del cristianesimo, si offuschi il dono?
In realtà, ciascuno di noi può, a un certo punto, non avvertire più la forza del dono che è in noi per l’imposizione delle mani.
Nel caso di Timoteo è lecito pensare che una delle ragioni è il peso della solitudine, delle decisioni da prendere, la fatica di gravi responsabilità, la mancanza di chi potrebbe consigliarlo a proposito di problemi seri della comunità.
Un’altra ragione è la giovane età, che fa sentire Timoteo inadeguato alla missione affidatagli. La terza ragione è una sorta di negligenza nell’esercizio spirituale: gli impegni erano tanti, la stanchezza si accumula e, come accade anche a noi, inizia a tralasciare un poco la preghiera, non
si dedica come un tempo alla meditazione quotidiana della sacra Scrittura.
Nella seconda lettera, Paolo aggiungerà: “Non vergognarti della testimonianza da rendere al Signore nostro…”.
Anche qui i motivi sono diversi. Anzitutto Timoteo si vergogna perché vive la percezione di essere abbandonato da Dio. C’è poi il fatto di avvertire l’estraneità del vangelo riguardo alle coordinate della vita quotidiana. Timoteo ha l’impressione che i princìpi evangelici non abbiano nulla a che fare con le realtà di ogni giorno.
Oggi si può provare vergogna per l’esiguità del messaggio evangelico, per la debolezza che ha in confronto alla potenza e all’arroganza del mondo finanziario, allo spiegamento di forze dell’ambiente politico e militare, al potere dei mass media: il vangelo è altro, è una voce debole che grida nel deserto e allora preferiamo ritrarci piuttosto che dare la nostra piccola testimonianza. Paolo, mentre analizza delicatamente, ma chiaramente le sofferenze e le fatiche del suo discepolo diletto, gli ricorda che da tale situazione di offuscamento può e deve uscire perché il dono, il
carisma è «in te», dentro di te. Questo vale anche per noi. L’apostolo Paolo insiste con Timoteo: “Abbi premura di queste cose, dèdicati ad esse interamente perché tutti vedano il tuo progresso”. È l’esortazione a un esercizio costante, a un impegno pieno e senza riserve, non lasciandosi distrarre da nulla, riguardo le esortazioni precedenti. Il risultato di tale sforzo sarà sotto gli occhi di tutti.
Ed ecco l’impegno finale: “Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante”.
L’oggetto della vigilanza sono lo stesso Timoteo e il suo insegnamento, verso il quale deve essere costantemente orientato, perché per esso è stato reso ministro. Questo impegno ha un riscontro conclusivo: “così facendo salverai te stesso e coloro che ti ascoltano”. “Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io”, afferma in un’altra lettera Paolo (1Cor 9,23). Il significato è che la parola di Dio, annunciata, genera la fede, che si trasforma in fonte di salvezza per coloro che la accolgono. Ma il ministro della Parola, che si identifica pienamente con essa, partecipa per primo al dono di cui egli è dispensatore.

In confronto con il fondatore

Attende tibi: cosa significa? Significa curare l’anima propria. Vi sono di quelli che non la curano mai, altri un poco, altri molto. Quelli che non la curano mai sono sempre distratti dalle cose del mondo, dai pensieri e dalle preoccupazioni della terra… Vi sono delle anime che ci pensano poco, lo fanno in chiesa con sforzo o per alcuni istanti e con poco risultato. Povere anime! Delle ventiquattro ore della giornata… per ricordarsi del Signore, spendono appena una mezz’ora! Anime sempre distratte! Altre pensano molto a se stesse, perché custodiscono
mente e cuore e sensi…
È importante guardare noi stessi? Sì, perché giova ciò che resta per l’eternità, il resto è una distrazione, una vanità passeggera. Ciò che serve è guardare a noi stessi. Se tu avessi curato te stesso! Cosa importa se hai guardato questo e quello, se hai fatto bella figura, di persona intelligente, accorta, anche santa, se non hai saputo farti santo? A che vale? Che rovina è questa! …«Attende tibi!». Se S. Paolo lo dice quattro volte a Timoteo, sacerdote anziano, se lo dice Gesù, se lo dice S. Bernardo al Papa: «Attende tibi, et doctrinae», vuol dire che prima di tutto dobbiamo badare a noi stessi…

Tratto da una meditazione, in dattiloscritto,
tenuta ad Alba, il 30.11.1931, dal Primo Maestro.

Per la nostra vita paolina

domande
1. Don Alberione mi invita a “badare” a me stesso, alla mia anima, al mio cammino con Dio, pena la decadenza spirituale e l’offuscamento apostolico.
2. Cosa sto facendo quotidianamente per curare l’igiene mentale, quella psichica e dei sentimenti? So attingere con costanza alle sorgenti della nostra spiritualità: Bibbia, Gesù Eucaristia, Alberione, segni dei tempi?
3. Cerco di vivere tutte le dimensioni della mia vocazione paolina?

impegno
Riscopro e utilizzo con perseveranza la mia “regola di vita” (eventualmente riscoprirla) come strumento di
cammino integrale paolino.

In Preghiera

Proteggimi, Dio: in te mi rifugio.
Ho detto a Dio:
«Sei tu il mio Signore,
senza di te non ho alcun bene».
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.
Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi,
è magnifica la mia eredità.
Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio cuore mi istruisce.
Io pongo sempre innanzi a me il Signore,
sta alla mia destra, non posso vacillare.
Di questo gioisce il mio cuore,
esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro,
né lascerai che il tuo santo veda la corruzione.
Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena nella tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.

Dal salmo 16

Che cosa di più dolce di un salmo? Per questo lo stesso Davide dice splendidamente: «Lodate il Signore: è bello cantare al nostro Dio, dolce è lodarlo come a lui conviene» (Sal 146, 1). Davvero! Il salmo infatti è benedizione per i fedeli, lode a Dio, inno del popolo, plauso di tutti, parola universale, voce della Chiesa, professione e canto di fede, espressione di autentica devozione, gioia di libertà, grido di giubilo, suono di letizia. Mitiga l’ira, libera dalle sollecitudini, solleva dalla mestizia. E’ protezione nella notte, istruzione nel giorno, scudo nel timore, festa nella santità,
immagine di tranquillità, pegno di pace e di concordia che, a modo di cetra, da voci molteplici e differenti ricava un’unica melodia.

 Dal «Commento sui salmi» di sant’Ambrogio, vescovo

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