GIUGNO 2009 - Scheda12

 

 

«Mi protendo in avanti»

Siamo al termine dell’Anno Paolino. Un anno ricco di esperienze significative, iniziative interessanti.
Anche a livello ecclesiale, siamo stati invitati a parlare di Paolo, e di noi suoi discepoli, in tante realtà. Cosa resta di tutto questo? E soprattutto, quali insegnamenti ci ha offerto il cammino speciale che abbiamo vissuto con Paolo? Finisce l’Anno Paolino, ma non deve finire il nostro anelito a protendersi in avanti, per continuare a progredire in modo integrale e unitario in tutte le dimensioni dello vita paolina. Se in questo anno abbiamo interiorizzato adeguatamente lo spirito
di san Paolo, come Paolini dovremmo sentire più vivamente l’anelito del Fondatore di essere aperti verso lo sconfinato e luminoso orizzonte spirituale-carismaticoapostolico che Cristo e Paolo ci indicano. Quando Cristo chiama Pietro e i primi apostoli dice: “Prendi il largo” (Lc 5,4). Dov’è il “largo”? È fuori da tutti i porti, da tutte le sicurezze nelle quali oggi a volte ci adagiamo.
Il “largo” è la sapienza nuova di Cristo, la novità del Vangelo, l’universalismo e il farsi “tutto a tutti” di Paolo. Il “protendersi in avanti” di Alberione.

«Non ho certo raggiunto la meta,
non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta allespalle e proteso verso ciò che mi sta davanti, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù».

Fil 3,12-14

La parola ci interpella

Paolo sa di non avere ancora ottenuto lo scopo, di non avere raggiunto la meta, la pienezza, e per questo è proteso in avanti verso la ricompensa finale. Egli, ancora in viaggio, cerca di afferrare il premio, proprio perché è stato in precedenza afferrato da Cristo Gesù. È lo stesso movimento che abbiamo già incontrato in Fil 2,12-13: là l’apostolo esortava i cristiani di Filippi a operare per la loro salvezza in sinergia con l’azione preveniente di Dio, qui fa egli stesso l’esperienza di chi ama perché Dio lo ha amato per primo (cfr. 1Gv 4,19). In tutto questo, è per noi estremamente consolante apprendere che l’apostolo non si considera ancora maturo in rapporto alla «vocazione che viene dall’alto, da Dio in Cristo Gesù» (Fil 3,14). Tale umile confessione è però accompagnata da una lucidissima dichiarazione d’intenti: «Dimentico di ciò che mi sta dietro e proteso a ciò che mi sta davanti, corro verso la meta, verso il premio» (Fil 3,13-14).
Occorre comprendere bene il senso dell’espressione paolina «dimentico di ciò che mi sta dietro».
È indubbio che per ogni uomo è fondamentale meditare sul proprio passato, così da scoprire il filo rosso che dà unità all’esistenza e la fedeltà di Dio che accompagna ogni età della vita. Esiste tuttavia uno sguardo sul passato che indugia nel considerare le numerose colpe commesse, quasi nel contemplarle narcisisticamente, pensando in tal modo di compiere un’operazione meritoria. Questo è il peccato più grande contro Dio, è la paralisi della vita spirituale che impedisce qualsiasi slancio verso Dio stesso, il quale al contrario dichiara: «Io, io cancello i tuoi misfatti, per riguardo a me non ricordo più i tuoi peccati» (Is 43,25). Guai a diffidare della misericordia divina, lasciandosi attrarre da estenuanti esami di coscienza autoreferenziali! «Essere protesi a ciò che sta davanti», moto contrario a quello appena descritto, significa camminare spediti sulle tracce di Cristo e, contemplando lui, lasciare che il suo volto trasfiguri il nostro a sua immagine (cfr. 2Cor 3,18).
Prima di passare a esortare direttamente i suoi destinatari a imitarlo, Paolo parla nuovamente della maturità cristiana, il télos che attende ogni discepolo di Cristo. Essa coincide in definitiva – lo ribadisco – con la conoscenza della potenza della resurrezione, come ci ricorda una lapidaria sentenza di Massimo il Confessore, un padre greco del VII secolo: «Colui che conosce il mistero della resurrezione, conosce lo scopo per cui Dio nell’in-principio creò ogni cosa» (Centurie teologiche I,66).
Paolo dunque esorta: «Quanti siamo perfetti, dobbiamo avere questo sentire». E conclude: «Se avete un altro sentire, Dio vi svelerà anche questo. Però, qui giunti, continuiamo a camminare ancora!» (Fil 3,15-16). È grande la libertà che egli lascia ai cristiani e la fiducia che ripone in loro, poiché confida che l’unctio magistra dello Spirito santo agisca in loro e li illumini (cfr. 1Gv 2,20.27).
Sì, ogni credente è abilitato al discernimento, nella sua coscienza è chiamato a dare un giudizio sulle situazioni e sugli eventi che vive, proprio in quanto dotato dell’unzione efficace dello Spirito santo. Chi vive un’esistenza cristiana consapevole e profonda, può sperimentare che il sensus fidei forgiato in lui dallo Spirito lo guida a discernere volta per volta quanto è conforme al sentire di Cristo, e lo spinge a camminare spedito sulle sue tracce.

Enzo Bianchi, Vivere è Cristo, San Paolo Edizioni, Cinisello B. 2006

In confronto con il fondatore


«La mano di Dio sopra di me [cf Ez 1,3], dal 1900 al 1960. La volontà del Signore si è compita, nonostante la miseria di chi doveva esserne lo strumento indegno ed inetto. Dal Tabernacolo: la luce, la grazia, i richiami, la forza, le vocazioni: in partenza e nel cammino. Vi è qualcosa nel Mi protendo in avanti: la carta porta ciò che si scrive. D’altra parte ogni sacerdote va incontro a due giudizi: quello degli uomini e quello di Dio. Per quest’ultimo, che è l’unico che veramente conta, prego tutti ad ottenermi in tempo la misericordia del Signore, a cui nel “nobis quoque peccatoribus” della Messa [cf Canone Romano] diciamo “non aestimator meriti, sed veniae quaesumus, largitor admitte” nel consorzio dei santi. Sento la gravità, innanzi a Dio ed agli uomini, della missione affidatami dal Signore; il quale se avesse trovata persona più indegna ed incapace l’avrebbe preferita. Questo tuttavia è per me e per tutti garanzia che il Signore ha voluto ed ha fatto fare Lui; così come l’artista prende qualsiasi pennello, da pochi soldi e cieco circa l’opera da eseguirsi, fosse pure un bel divino Maestro Gesù Cristo».

Ut perfectus sit homo Dei – I, 1960, p. 374

«Il libro “Mi protendo in avanti” (testo preparato in occasione del 40° di fondazione, ndr) non è stato stampatoper fare una mostra; è piuttosto per farci meditare labontà di Dio e per farci ricordare i principi su cui si fondaogni famiglia. Farci ricordare i principi e cioè:
a) la pietà;
b) la fiducia in Dio;
c) un’operosità che s’impara leggendo la vita di S. Paolo.
In qualunque impresa è sempre necessario partire dall’umiltà. Quando uno incomincia la sua vita o religiosa o sacerdotale, quando uno incomincia una casa, quando va in missione, deve porre l’umiltà a base. «Da me nulla posso». Allora si ha veramente ragione di sperare in Dio.
Colui che pensa: «da me nulla posso», come si conosce? Da questo: se prega. Lo spirito di pietà nasce dall’umiltà: nulla posso, dunque mi rivolgo a Dio. E Dio può tutto [cf. Mt 19,26]. L’umiltà, la quale fa diffidare di noi, ci rende prudenti, ci rende obbedienti, ci mette nella condizione di voler imitare, imparare. L’umiltà quindi sta bene nello scolaro, come sta bene nell’uomo adulto. L’umiltà resta più facile man mano che si va avanti negli anni, perché si viene sempre meglio a conoscere la nostra nullità, la nostra impotenza e incapacità, la nostra insufficienza».

Prediche del Primo Maestro, III, pagg.: 569-572


«Non guardiamo però tanto al passato. Il segno del fervore sta nel protendersi in avanti: nella santità protendersi in avanti. Il segno del fervore sta nel protendersi nell’apostolato; sempre meglio fatto l’apostolato.
Il segno del fervore sta nell’aumentare il numero delle vocazioni che raccogliete nelle varie parrocchie, e sta nel formare queste vocazioni sempre meglio. Ora, ecco la riconoscenza a Dio, sì: portare questo fervore nuovo e – voglio dire – mostrarlo con l’osservanza dei due primi articoli delle costituzioni».

Progredire un tantino ogni giorno, pp. 57-58

Per la nostra vita paolina

Cari fratelli,
l’Anno Paolino volge al termine. Un anno provvidenziale. Un anno in cui abbiamo avuto l’opportunità di riavvicinarci a San Paolo.
Se da una parte con onestà siamo chiamati a verificare quanto abbiamo saputo valorizzare – come singoli, comunità e Provincia – questo tempo di grazia, dall’altro credo sia doveroso ringraziare il Signore per questa opportunità che ci ha offerto.
E ora, guardiamo avanti. Vediamo dove il Signore ci chiama, dove san Paolo ci precede. Siamo chiamati a continuare a protenderci in avanti. Come? Ritorniamo all’obiettivo del Progetto apostolico: “Vivere il Vangelo per annunciarlo, mediando la Parola di Dio nella cultura della comunicazione, come editore unico multimediale!”. Paolo ci insegna, circa il nostro obiettivo, che:
− “Vivere il Vangelo per annunciarlo”: la vita di Paolo è tutta per il Vangelo, si nutre della Parola e la offre come nutrimento e vita agli altri;
− “mediando la Parola di Dio nella cultura della comunicazione”: Paolo si fa mediatore della Parola, mettendo in gioco la sua persona, il linguaggio, la cultura; e tentando di aprire nuove strade pur di raggiungere le persone e portarle a Cristo;
− “come editore unico multimediale!”: Paolo è intraprendente nella sua azione, ma non perde mai di vista la ricchezza dell’unità e il suo legame con la Chiesa degli apostoli e le singole comunità “perché non fosse vana la sua opera” Anche per noi allora questo è possibile se in ognuna delle nostre realtà mettiamo insieme esemplarità, creatività e innovazione, unità nella comunità, nell’ambito apostolico e nella Provincia. E questo ognuno è chiamato a farlo, sull’esempio di Paolo con fede e impegno. E con un coraggioso realismo: “Il pessimista si lamenta del vento, l’ottimista si aspetta che cambi, il realista orienta le vele”
(W. Ward).

Come ci esorta don Alberione: «Nella vita comune ci sia una gara di virtù, emulatevi nel praticare un’osservanza sempre più perfetta. Siate una famiglia che si forma e che cresce, in continuo progresso.
Non stiamo a contare ciò che abbiamo già fatto, ma fare sempre di più, cercare continuamente di protendersi in avanti. Voler migliorare è vero amore alla congregazione. Il benessere del corpo verrà dal buon funzionamento di ciascun membro. Ognuno è impegnato ad essere un membro vivo e operante, e a sentire la congregazione come una famiglia».

Don Ampelio Crema
Superiore Provinciale

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