FEBBRAIO
2009 - Scheda 08

 

«La carità è paziente, è benigna la carità»
1Cor 13,4

 

IN ASCOLTO

Il messaggio proposto ci stimola a non dimenticarci che san Paolo nostro padre è sì l’apostolo dell’evangelizzazione, ma anche, e di conseguenza, l’apostolo dell’amore cristiano perché il Vangelo è Cristo: Cristo che porta a termine il progetto del Padre manifestando l’amore gratuito di Dio per tutti fino a dare la vita in oblazione.
L’Inno alla carità è in pratica un Inno alla manifestazione dell’amore di Dio che è Cristo. A noi paolini fa bene ed è indispensabile rivisitare e verificare quanto siamo riusciti a interiorizzare e vivere delle qualità e delle dimensioni dell’amore evangelico perché risulta il vero segno e criterio se veramente per noi “vivere è Cristo” e se la nostra attività di evangelizzazione è feconda. Senza tralasciare di considerare che, senza questa forza dell’amore di Cristo, non potremo mai superare le divisioni e le contrapposizioni comunitarie e apostoliche, e crescere nella spiritualità di comunione.

 

«Aspirate ai carismi più grandi!
E io vi mostrerò una via migliore di tutte…
La carità è paziente, è benigna la carità;
non è invidiosa la carità, non si vanta,
non si gonfia, non manca di rispetto,
non cerca il suo interesse, non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità.
Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta».


1Cor 12,31.13,4-6

LA PAROLA CI INTERPELLA

«Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte»: così l’Apostolo Paolo introduce il suo Inno alla carità. Con linguaggio poetico sottolinea che l’amore è la via superiore, più grande anche della fede, dei miracoli, dello spogliarsi dei propri beni per darli ai poveri.
L’Apostolo non spiega perché l’amore è più grande. Lo afferma come fatto ovvio, che va da sé, e non ha bisogno di dimostrazioni. Trae origine da quella intuizione spirituale propria dell’apostolo Giovanni, e cioè che “Dio è amore”. Paolo descrive la carità con ben 15 espressioni, quasi a dire che l’amore è mistero, è Dio, e quindi non può essere racchiuso in una definizione. E parla delle opere dell’amore, sia dicendo in positivo ciò che esse sono chiamate a realizzare, sia ciò che non debbono fare.
Amare non significa fare qualcosa per gli altri, come spesso si pensa, anche nel mondo ecclesiale e religioso, ma farsi carico degli altri, portarne il peso, portare insieme ad essi il loro stesso peso; portare qualche volta essi stessi come peso, non da maledire, ma da accogliere e sostenere con piena disponibilità. Messo alla prova, l’amore vero tollera, pazienta, sopporta.
Tutte e 15 le espressioni usate sono atteggiamenti di pazienza: insomma la carità promuove comportamenti umili, miti, remissivi.
Paolo insegna questo modo di amare ad una comunità difficile, perché impari a vivere pacificamente in una situazione di tensione. È chiaro che essa dovrà anche dedicarsi ai poveri; però, se la comunità è divisa in se stessa, se i suoi membri parlano male gli uni degli altri, anche le opere di misericordia diventano vane, non autentiche. La comunità di riferimento è quella offerta dagli Atti degli Apostoli: “Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (2,44-45). Questa disponibilità, ci dicono ancora gli Atti, è direttamente connessa con una sorta di definizione della Chiesa, caratterizzata da quattro connotazioni: l’insegnamento degli apostoli, la comunione, la frazione del pane e la preghiera. Connotazioni che ritroviamo in quella espressione di vita ecclesiale che è la vita consacrata. Una vita consacrata che non si alimenti costantemente della Parola e dell’insegnamento degli apostoli del nostro tempo; che non si esprima in una vera, concreta e piena condivisione spirituale e materiale; che non abbia il proprio centro, la propria fonte e il proprio culmine nella celebrazione dell’eucaristia e che non si alimenti di una preghiera corale e perseverante, non sarà mai capace di esprimere la visibilità dell’amore.
E quanto più questa visibilità vorrà essere capace di raggiungere il cuore dei fratelli, tanto più occorrerà guardare al mistero della croce e al Cristo crocifisso che appare essere la sorgente ispiratrice dell’inno paolino alla carità. Infatti è Cristo Crocifisso colui che tutto sopporta, tutto crede, tuttoperdona, tutto spera. In altre parole, amare significa essere come Gesù. Si tratta certamente di un ideale altissimo e Paolo lo propone perché è il solo modo di guarire e divisioni e le ferite dei Corinzi. Così come è il solo modo per guarire le tante ferite e divisioni che si trovano anche all’interno delle comunità religiose. L’inno paolino canta anche l’eternità dell’amore. Poiché l’amore è divino, perché è Dio stesso, esso non finisce mai, non può finire. Gli altri doni potremo pure perderli, ma la carità resta in eterno, perché Dio è Amore.
L’apostolo Paolo dice che scompariranno le profezie, cesserà il dono delle lingue e la scienza svanirà: egli riprende i tre carismi che tanti problemi creavano nella comunità di Corinto. Di tutte queste cose di cui i Corinzi continuavano a discutere, dice Paolo, non se ne parlerà più. I carismi cesseranno con la fine della vita della comunità storica e ciò che è limitato verrà abolito quando contempleremo una perfezione ben più grande dei vari carismi: la carità.

IN CONFRONTO CON IL FONDATORE

«Volete conoscere se in un’anima c’è davvero la carità? Esaminate se in essa vi sono la pazienza e la dolcezza.
La pazienza è la virtù che fa i santi. Quando si sa soffrire qualcosa senza farsene accorgere, ma coprendo il dolore col sorriso e con modi benigni, si ha la perfetta carità. Nelle comunità c’è sempre occasione di esercitare la pazienza e S. Paolo ci ammonisce: “Portate gli uni i pesi degli altri”. Le tendenze naturali e i caratteri nelle comunità sono molti e sono diversi: la carità però copre tutto, rimedia tutto, supplisce a tutto. La carità è paziente nel tacere sui torti ricevuti, nel nascondere e sopprimere le antipatie e le simpatie; la carità sopporta le piccole mormorazioni e le ambizioni di chi vuol avanzare. La carità non condanna, non giudica male, non parla male, non si vendica e non s’arresta nel bene per le contrarietà».

Don Giacomo Alberione, Alle Figlie di San Paolo, 1940

«Come si mostra l’amore a Gesù Cristo? Come noi trattiamo il prossimo: “la carità è paziente, è benigna, è premurosa…”.
Sono tutti i segni della vera carità verso il prossimo, e sono insieme i segni dell’amore a Dio. Perché noi ci comportiamo degnamente coi figli di Dio, che è il prossimo, e allora il nostro amore ai figli di Dio indica l’amore al Padre celeste, al Padre di tutti questi figli di Dio, cioè delle creature».
Don Giacomo Alberione, Alle Pie Discepole del Divin Maestro, 1964

PER LA NOSTRA VITA PAOLINA

La carità è Gesù; è Dio. Ispirandoci al testo della prima lettera ai Corinzi al cap. 13, possiamo capire sempre meglio in quale modo Dio agisce con gli uomini e quindi anche con noi.
Non esistono comunità difficili in se stesse; esistono invece persone che mancano di amore. È la carenza d’amore che rende difficile una comunità; e anche la situazione difficile, scabrosa, paradossalmente può avere la funzione provvidenziale di far scoppiare l’amore.
L’amore vince sempre anche se al momento questo non appare. Infatti l’amore è eterno, mentre tutto il resto passa. In altre parole: ciò che si è fatto con amore e per amore non avrà mai fine, anche se in questo mondo non viene riconosciuto.

IN PREGHIERA

Signore, l’Amore è paziente: donami la pazienza
che sa affrontare un giorno dopo l’altro.
Signore, l’Amore è benigno:
aiutami a voler sempre il suo bene prima del mio.
Signore, l’Amore non è invidioso:
insegnami a gioire di ogni successo.
Signore, l’Amore non si vanta:
rammentami di non rinfacciargli ciò che faccio per lui.
Signore, l’Amore non si gonfia:
concedimi il coraggio di dire “ Ho sbagliato”.
Signore, l’Amore non manca di rispetto:
fa’ ch’io possa vedere nel suo volto il Tuo Volto.
Signore, l’Amore non cerca l’interesse:
soffia nella nostra vita il vento della gratuità.
Signore, l’Amore non si adira:
allontana i gesti e le parole che feriscono.
Signore, l’Amore non tiene conto del male ricevuto:
riconciliaci nel perdono che dimentica i torti.
Signore, l’Amore non gode dell’ingiustizia:
apri il nostro cuore ai bisogni di chi ti sta accanto.
Signore, l’Amore si compiace della verità:
guida i nostri passi verso di Te che sei Via, Verità e Vita.
Signore, l’Amore tutto copre, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta:
aiutaci a coprire d’Amore i giorni che vivremo insieme;
aiutaci a credere che l’Amore sposta le montagne;
aiutaci a sperare nell’Amore oltre ogni speranza.

«Il vero tesoro della nostra vita è stare nell’amore del Signore e non perdere mai questo amore. Poi siamo realmente ricchi. Un uomo che ha trovato un grande amore si sente realmente ricco e sa che questa è la vera perla, che questo è il tesoro della sua vita e non tutte le altre cose che forse ha. Noi abbiamo trovato, anzi siamo stati trovati dall’amore del Signore e quanto più ci lasciamo toccare da questo suo amore nella vita sacramentale, nella vita di preghiera, nella vita del lavoro, del tempo libero, tanto più possiamo capire che sì, ho trovato la vera perla; tutto il resto non conta, tutto il resto è importante solo nella misura in cui l’amore del Signore mi attribuisce queste cose. Io sono ricco, sono realmente ricco e in alto se sto su questo amore. Qui troviamo il centro della vita».

Benedetto XVI ai seminaristi di Roma

 

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