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APRILE
2009
- Scheda 10
-

 

 

«Quando sono debole, è allora che sono forte»
2Cor 12,10

In ascolto


La Settimana Santa, il Triduo Pasquale, la Pasqua – al centro di questo mese – non sono unicamente da celebrare bene. Occorre sì celebrare bene il mistero pasquale, ma per viverlo e sperimentarlo nella vita fraterna e apostolica. Paolo ci dà testimonianza che tutta la sua vita, con l’alternarsi di tribolazioni e consolazioni, è contrassegnata dalla logica del mistero pasquale. Spesso noi ci troviamo a pensare che la logica pasquale della “potenza della risurrezione che si manifesta nella debolezza del nostro essere vaso di creta” mortifichi troppo la nostra sensibilità. Invece si tratta di una grande liberazione e consolazione, soprattutto quando siamo nella situazione di non poter più svolgere l’attività apostolica con l’efficienza che vorremmo, e risulta importante tenere viva la consapevolezza che l’apostolato non è solo il fare, oppure solo circoscritto all’attività che dà risultati evidenti. Se vissuto e offerto con fede, tutto è apostolato e, per noi, apostolato veramente paolino: anche la malattia, la vecchiaia, la fatica nel “portare con amore i pesi gli uni degli altri”.

«Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato
di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ma egli mi ha detto: Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte». 2Cor 12,7-10

La parola ci interpella

Mi appare significativo il fatto che Gesù nel suo ministero pubblico si sia interessato soprattutto dei malati e che Paolo nel suo discorso di addio alla comunità di Efeso ricordi il dovere di «soccorrere i deboli». Per questo vorrei che questa Pasqua fosse sentita soprattutto come un invito alla speranza anche per i sofferenti, per le persone anziane, per tutti coloro che sono curvi sotto i pesi della vita, per tutti gli esclusi dai circuiti della cultura predominante, che è (ingannevolmente) quella dello “star bene” come principio assoluto. Vorrei che il senso di sollievo, di liberazione e di speranza che vibra nella Pasqua ebraica dalle sue origini ai nostri giorni entrasse in tutti i cuori. Vorrei che il saluto e il grido che i nostri
fratelli dell’Oriente si scambiano in questi giorni «Cristo è risorto», «Cristo è veramente risorto» percorresse le corsie degli ospedali, entrasse nelle camere dei malati, nelle celle delle prigioni, vorrei che suscitasse un sorriso di speranza anche nelle persone che si trovano nelle sale di attesa per le complicate analisi richieste dalla medicina di oggi, dove spesso si incontrano volti tesi, persone che cercano di nascondere il nervosismo che le agita interiormente.
La domanda che mi faccio è: che cosa dice oggi a me anziano, un po’ debilitato nelle forze, ormai questa Pasqua? E che cosa potrebbe dire anche a chi non condivide la mia fede e la mia speranza?
Anzitutto questa Pasqua dice a me che «le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rm 8,18).
Queste sofferenze sono anzitutto quelle del Cristo nella sua passione, per cui sarebbe difficile trovare una causa o una ragione se non si guardasse oltre il muro della morte. Ma ci sono anche tutte le sofferenze personali o collettive che gravano sull’umanità, causate o dalla cecità della natura o dalla cattiveria o negligenza degli uomini. Bisogna ripetersi con audacia, vincendo la resistenza interiore,
che non c’è proporzione tra quanto ci tocca soffrire e quanto attendiamo con fiducia.
In questa Pasqua vorrei poter dire a me stesso con fede le parole di Paolo nella seconda lettera ai Corinti: «Per questo non ci scoraggiamo, ma anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne». (2Cor 4,16-18).
È così che siamo invitati a guardare anche ai dolori del mondo di oggi: come a «gemiti della creazione», come a «doglie del parto» (Rm 8,22) che stanno generando un mondo più bello e definitivo, anche se non riusciamo bene a immaginarlo.
Tutto questo richiede una grande tensione di speranza. Perché, come dice ancora san Paolo «nella speranza noi siamo salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza» (ivi, 8,24). Sperare così può essere difficile, ma mi pare questa la via che ci permette di non rimanere schiacciati dai mali di questo mondo. Ed è una via tracciata da Dio stesso che vuole stare dalla nostra parte e che promette all’uomo la vita per sempre.
da uno scritto del card. Carlo Maria Martini

In confronto con il fondatore

Don Alberione ha potuto testimoniare: Si corsero vari pericoli e di vario genere: personali, economici, accuse in relazioni scritte e verbali: si viveva pericolosamente giornate e giornate; San Paolo fu sempre salvezza... le annate passavano, le previsioni di molti di certo fallimento, le accuse di pazzia...svanivano e tutto si conchiudeva, magari con fatica, ma in pace». (AD 164ss)
«L’Apostolato Stampa ha il fine di attirare alla scuola del Divin Maestro gli uomini tutti, affinché gli rendano omaggio della mente, della volontà,del cuore». «Ma chi potrà piegare le menti umane a questo Maestro – si chiede Don Alberione – se non chi sottomette la propria mente a Gesù [...], chi sottomette la sua volontà alla volontà di Dio [...], chi sottomette il proprio cuore al Cuore vitale di Dio?».
Tale è il segreto di ogni apostolato, che così si innesta pienamente nel Maestro divino, piegandosi a Lui come Egli stesso, dopo che «tutto gli sarà stato sottomesso, si sottometterà a sua volta a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15,28). L’apostolato porta quindi ad una unità assoluta, che incomincia con l’unione radicale dell’apostolo col suo Maestro, cioè “una comunione dell’inviato con Colui che lo invia”. Ciò comporta per ogni paolino/na lasciarsi coinvolgere esistenzialmente dall’apostolato che gli è stato affidato: «avere gli stessi sentimenti di Cristo» (Fi 2,5), i suoi stessi atteggiamenti: obbedienza al Padre, abbandono alla sua volontà (attraverso le varie mediazioni concrete), considerarsi membra di Cristo e agire di conseguenza, non cercare mai sé stessi, condursi con umiltà, essere anche convinti che la forza di Dio si attua nella nostra debolezza (cf 2Cor 12,10) pur dovendo sforzarci come se tutto dipendesse da noi, affinché lo strumento sia atto e docile quanto si può nelle mani di Dio. Insomma, il paolino, per esercitare l’apostolato, si consegna al suo Maestro e Signore con tutto l’essere: mente, volontà, cuore

(cfr. Apostolato Stampa).

Per la nostra vita paolina

1. In che modo mi preparo alla celebrazione liturgica della Passione, Morte e Risurrezione del
Signore, approfondendo i vari momenti che l’assemblea sarà chiamata a vivere?

2. Con quali emozioni rivivrò anche quest’anno la grande Veglia Pasquale? Cosa mi insegna San Paolo a tale riguardo? Cosa penso debba essere trasformato, fatto risuscitare nella mia via?

3. Quale segno concreto della Risurrezione può caratterizzare il mio impegno nella vita fraterna e apostolica?

 

In preghiera


Lode a te, Signore Gesù, che parli a noi nel
volto di Paolo e ci chiedi di seguirti senza
condizioni come Ti ha seguito Lui! Lode a Te,
Cristo, cercatore di ogni uomo, che sei venuto
per me nei luoghi della mia vita, come entrasti
nella vita di Paolo sulla via di Damasco! Lode
a Te, che ci raggiungi sulle nostre strade e ci
prendi con te e ci invii per essere Tuoi testimoni,
a tempo e fuori tempo, per ogni essere
umano, fino agli estremi confini della terra!
Prega per noi, Paolo, perché possiamo vivere
come Te l’incontro con Cristo, che cambia il
cuore e la vita. Aiutaci a svuotarci di noi per
riempirci di Lui, affinché, resi forti dal Suo
Spirito, siamo capaci di credere, di sperare e di
amare oltre ogni prova o misura di stanchezza.
Ottienici di divenire sempre più testimoni
umili e innamorati di Colui che è la speranza
del mondo, in comunione con tutta la Chiesa,
al servizio di ogni creatura.
Il Cristo Gesù sia per noi la vita vera, la
gioia piena, la sorgente di un amore sempre
nuovo, la luce senza tramonto, nel tempo e per
l’eternità. Amen. Alleluia!
Bruno Forte

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