Gesù Maestro Verità
Il Libro della verità

(Gv 18,37-38)

Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos'è la verità?».
Gv 18,37-38:

1. La regalità universale di Gesù-Verità

* Davanti al luogotenente di Cesare, l’autorità mondiale del tempo, Gesù proclama la sua regalità universale. Una regalità che è diversa dalle attese del popolo di Israele, che voleva un liberatore potente, e che si manifesta nella povertà, nella debolezza (fugge quando vogliono farlo re ed entra a Gerusalemme su un asino, dopo che ha resuscitato Lazzaro).

* Siamo all’epilogo della vita di Gesù, di fronte ai tribunali civili e religiosi la menzogna (“tu sei re?”) afferma, senza volerlo né saperlo, la verità: Gesù è re crocifisso e come tale sconfigge alla sua vacuità il potere della morte.

* Le tenebre sono uscite allo scoperto e giudicano la Luce, la Verità. Ma la Luce dissolve le tenebre, Gesù esegue sovranamente il giudizio di Dio: non condanna nessuno ma dà la vita per tutti.
* Cos’è la verità? La domanda è rivolta a noi: o si risponde ad essa o la si uccide, come Pilato. Gesù, che rappresenta il debole davanti a lui è la sua grande occasione: se fugge dal debole, dal povero, fugge anche dalla verità, perché il povero illustra il senso ultimo della verità: che siamo tutti fratelli in un solo Padre.
* Messaggio della Quaresima 2016: «Davanti a questo amore forte come la morte (cfr Ct 8,6), il povero più misero si rivela essere colui che non accetta di riconoscersi tale. Crede di essere ricco, ma è in realtà il più povero tra i poveri. Egli è tale perché schiavo del peccato, che lo spinge ad utilizzare ricchezza e potere non per servire Dio e gli altri, ma per soffocare in sé la profonda consapevolezza di essere anch’egli null’altro che un povero mendicante. E tanto maggiore è il potere e la ricchezza a sua disposizione, tanto maggiore può diventare quest’accecamento menzognero».

2. La nostra chiamata a rinnovare la nostra mente

* Tutto il nostro essere deve abituarsi a scoprire la presenza di Dio-Trinità, nell’impegno di conoscerlo per poterlo sempre più riconoscere nella vita quotidiana:
1. lo dobbiamo conoscere e riconoscere con la mente: studio teologico, esegetico, filosofico; aggiornamento (“studiosità”). Ma guai se la lettura dell’impronta di Dio si ferma qui: diventa solo lettura arida, pura speculazione senza sentire Dio;
2. lo dobbiamo conoscere e riconoscere con la volontà: di qui scaturisce l’impegno di ascesi, di rinunzia; in una parola, di santificazione (senza cadere nel volontarismo);
3. lo devo conoscere e riconoscere con il cuore: è la lettura dell’impronta creatrice di Dio fatta dal cuore innamorato, che accetta di credere anche se non sempre capisce. Il rapporto con Dio, in questa lettura, non è più un dovere, ma un’esperienza vitale. Rischi: sentimentalismo e pietismo.
* Oggi ci concentriamo sulla mente (Gesù Verità). La domanda di Pilato («Che cos'è la verità?») ci provoca quest’oggi: sulla nostra situazione personale (perché vivo, come vivo? Cosa sono fra tutti gli esseri viventi? Chi è Dio per me?) .
* ACV 18-19: PRINCIPI
* ACV 70-74: MALATTIE DELLA MENTE

3. Il grande libro della creazione, prologo al Libro del Verbo: il Salmo 19

* Dalla creazione cogliamo le vestigia di Dio. Nel Salmo 19 cogliamo una duplice struttura, forse frutto di due testi uniti ma originariamente autonomi. Tale salmo è indicato come quello “dei due soli”: il sole che rischiara i nostri giorni (vv. 1-7) e il sole della parola di Dio, della sua legge che rischiara i nostri occhi (vv. 8-15).
* Il canto al sole (vv. 6-7) è preceduto da un invito a riconoscere Dio attraverso il creato (vv. 1-5). Tale invito-premessa è prezioso perché evita la caduta in una religiosità di tipo cosmologico. Nell’ambiente in cui si sono formate le Scritture ebraiche numerose erano le forme religiose di tipo cosmologico (identità Dio/natura), divinizzando gli astri, le acque, le montagne, la fecondità della terra (oggi è la New Age e certe forme estreme di cultura ecologista).
* Israele combattendo le diverse forme di idolatria e affermando il rigoroso monoteismo ha preso le distanze da queste forme di religione cosmologica a vantaggio di una religione decisamente storica che vede nella storia - luogo della libertà umana - e non nei cicli cosmici immutabili il luogo del manifestarsi dell’azione di Dio.
* Nell’esordio del Salmo si dice che i cieli narrano la gloria di Dio, che il cosmo è come un grande libro nel quale leggere l’opera di Dio, che la natura non è Dio ma RACCONTA, DICE, CELEBRA Dio: la creazione è opera del Creatore e non si identifica con esso.
* L’incipit del Salmo è quindi un invito a riconoscere nella natura, nel cosmo l’opera delle Sue (di Dio) mani, appunto la creazione, non il Creatore. Potremmo leggere in queste parole un invito a demitizzare il cosmo liberandolo da ogni sacralizzazione. Il cosmo come cifra rivelativa di Dio: «I cieli narrano la gloria di Dio», i cieli non sono Dio.
* È significativo come la tradizione ebraica, pur situata entro un contesto fortemente intriso di cosmologia religiosa, se ne differenzi a vantaggio di una prospettiva storica: IL LUOGO PRIVILEGIATO DELLA MANIFESTAZIONE DI DIO NON È IL COSMO MA LA STORIA; il Dio di Israele è il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe, è un Dio di uomini e non tanto di eventi naturali e cosmici. * Una conferma è nella più antica formula di fede di Israele: Dt 26,1-11. Si noti come la formula di fede che accompagna l’offerta delle primizie sia un testo narrativo. Il fedele racconta la storia del suo popolo storia entro la quale si è manifestata la presenza di Dio liberatore dalla schiavitù dell’Egitto. Un Dio quindi che non appare attraverso i movimenti degli astri, la fecondità delle terra e degli animali ma che si manifesta come IL LIBERATORE DA UNA CONDIZIONE DI SERVITÙ.
* Il Salmo ci invita a guardare la natura come ad una RIVELAZIONE del Creatore: la natura non è solo insieme di oggetti disponibili da usare e gettare trasformando il mondo in una immensa discarica ma è grande dispositivo simbolico, che invita e riconoscere il Creatore e impedisce all’uomo quel rapporto di dominio e incondizionato sfruttamento della natura stessa (v. l’Eden affidato ad Adamo perché lo coltivi e lo custodisca: dimensione di custodia, rispetto, salvaguardia del creato, spirito di Francesco d’Assisi nel Cantico delle creature).
* Nella seconda parte il Salmo canta il sole che è la parola-legge di Dio. È INFATTI SOPRATTUTTO NELLA PAROLA-LEGGE CHE RICONOSCIAMO LA PRESENZA DI DIO, Israele ha conosciuto Dio perché, a differenza degli idoli che hanno bocca ma non parlano (Salmo 135,16), Dio ha parlato, si è manifestato ad Abramo e alla sua discendenza per sempre. È quindi nella Parola che siamo chiamati a riconoscere Dio e ad entrare in dialogo con lui
* È nella Parola fatta carne che riconosciamo la definitiva manifestazione di Dio: Eb 1 «Nei tempi passati Dio parlò molte volte e in molti modi ai nostri padri, per mezzo dei profeti. Ora, invece, in questi tempi che sono gli ultimi, ha parlato a noi per mezzo del Figlio».
* Significativa è la congiunzione di questa DUPLICE RIVELAZIONE attraverso il cosmo, la natura e la Parola-Legge. Possiamo parlare di una (1) RIVELAZIONE NATURALE riconoscibile attraverso la ragione (Romani 1,19 ss. ricorda che le qualità invisibili di Dio possono essere riconosciute dagli uomini tramite la loro intelligenza nelle cose che Egli ha fatto) e (2) di una RIVELAZIONE ATTRAVERSO LA PAROLA DI DIO manifestata ad Abramo e ai suoi discendenti e compiuta in Cristo. Il Salmo 19 congiunge queste due rivelazioni, SENZA IDENTIFICARLE MA NEMMENO SENZA OPPORLE.

4. Pensare secondo Dio: Mt 16,13-23

* Rimaniamo colpiti da quello che viene detto, qualcosa che ci interpella. La domanda di Gesù interpella tutti i discepoli di tutti i tempi. Gesù è pedagogo e chiede: «La gente chi dice che io sia?». Li prepara. E i discepoli raccolgono il meglio di quello che si dice di Lui (il peggio, che pure si dice da alcuni, non lo prendono in considerazione). È profeta (come Giovanni Battista, che richiama le folle, e lo stesso Erode pensa), Elia (il profeta portato in cielo su un carro di fuoco), Geremia (il profeta rifiutato). Accostamenti che hanno il loro senso.
* I discepoli raccolgono quello che le folle dicono di Lui. Ma quello che è importante è: VOI CHE STATE FACENDO IL CAMMINO CON ME, COSA DITE? Non siamo all’inizio del Vangelo, solo dopo un certo cammino si può porre la domanda.
* Noi vorremmo già dall’inizio risposte chiare. Invece no. Solo ora, che hanno fatto un’esperienza con lui, Gesù può porre la domanda. Pietro dà la risposta: egli riconosce il Messia atteso nel Maestro che stanno seguendo. Lui è il figlio del Dio vivente.
* Qui Pietro è portavoce della fede della Chiesa. È vero, eppure in questo brano non è un portavoce, non si è confrontato con gli altri ma con Dio. E la risposta di Gesù lo evidenzia: non sono le tue capacità, ma il Padre che è nei cieli che te lo ha rivelato. LE RISPOSTE DECISIVE PER LA VITA HANNO SEMPRE UN RIFERIMENTO AL PADRE. Certo, proprio perché è una risposta decisa comprendiamo che solo il Padre può svelare il Figlio. La luce viene da Dio.
* Sant’Ignazio dice, parlando dell’esame dei pensieri, che essi possono venire da Dio, da un cattivo spirito o frutto di un ragionamento umano. Ci sono pensieri quindi che lo spirito buono dona, che sono conformi a Dio. Questa è ispirazione. Non sono esperienza per pochi eletti, perché per tutti ci sono momenti in cui Dio ci illumina. Così come ci sono momenti in cui siamo distolti da Dio: questi pensieri provengono dello spirito cattivo.
* Saper riconoscere l’origine del pensiero è alla base del discernimento. Qui Gesù fa discernimento su Pietro: “Tu sei il Cristo” è rivelazione di Dio. E quando ci lasciamo illuminare come Pietro anche noi siamo beati. In conseguenza di questo Gesù, nella logica dell’amore e della verità, fa discernimento su Pietro.
* LA COMPRENSIONE NON PUÒ ESSERE FATTA FUORI DA UNA RELAZIONE. Così fanno Gesù e Pietro: si riconoscono. E Pietro prende il nome nuovo: Pietro. «Su questa pietra costruirò la mia chiesa». Simone diventa la pietra di fondamento su cui si edifica il tempio, la chiesa.
* Da questa professione di fede di Pietro abbiamo la vera professione di fede: Gesù è il Messia atteso, è Verità increata. Pietro diventa la roccia che dà vita a popolo nuovo.

* Pietro, che diventa “pietra” nella Chiesa con poteri di legare e sciogliere, non significa che sia esentato da clamorosi scivoloni. Matteo mette insieme il discernimento santo di Gesù con il non capire il percorso di sofferenza del Messia. Se Pietro non è esentato dall’errore, tanto più noi. La roccia su cui si fonda il popolo di Dio diventa pietra d’inciampo, materia di scandalo. La pietra può diventare scandalo. Il fondamento su cui si poggia la Chiesa è debole perché emerga la forza del Signore. SOLO RIMANENDO FEDELE AL SIGNORE DIVENTA GUIDA PER GLI ALTRI, ALTRIMENTI DIVENTA INCIAMPO PER GLI ALTRI. E questo vale anche per noi.
* Convive un pensiero di Dio in Pietro ma lontano da una mentalità evangelica. C’è un progetto del Padre che Gesù accoglie per amore dell’uomo. Questo è il percorso, che Pietro rifiuta, rimproverando Gesù. «Dio non voglia che tu muoia»: è una risposta che viene dal buon cuore: chi augurerebbe la sofferenza all’amico? Il punto è quello: seguire Gesù nel Vangelo non è possibile solo con la buona volontà, col buon senso, col buon cuore…
* Pietro ancora deve imparare ad andare dietro a Gesù. Sta prendendo senza volerlo il ruolo di Satana, colui che vuole distogliere dal Vangelo. Tutto quello che distoglie dal Vangelo è satanico: «Tu non pensi secondo Dio». Avere ispirazioni e pensieri buoni è di tutti, ma i nostri pensieri belli che coltiviamo e che magari diciamo, spesso convivono con pensieri lontani dal Vangelo. E ci sono momenti in cui questo diventa evidente. Non sono io che devo tracciare la vita di Gesù, che indico come fare la missione… No, è sempre Lui che deve indicarci la via.
* La nostra non è una chiesa dei puri. Gesù ci insegna ad amare la Chiesa così com’è, perché l’ha fondata su qualcosa di molto debole, ma il vero fondamento della Chiesa, la roccia, è Lui: è il MAESTRO. Per questo può porre Pietro come pietra e fondamento. Essere attaccati come una sola cosa con Lui è il fondamento della vita cristiana.
* Coltivare i nostri pensieri. La mentalità forma la nostra personalità. Non siamo chiamati solo a capire il Vangelo, ma a farcene una mentalità, per diventare incarnazione del Vangelo. Così veniamo trasformati in Gesù: cristificazione.

Don Stefano Stimamiglio ssp