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È NECESSARIO COMBATTERE LA PASSIONE PREDOMINANTE?

Primo principio

L'uomo non è più quale fu creato da Dio. Esso si trova in stato di natura decaduta e quindi deteriorato secondo l'anima e secondo il corpo. Per parte del corpo vi è una ribellione allo spirito ed alla ragione:« Non quod volo bonum, sed quod nolo malum hoc facio », scriveva l'Apostolo. «Video aliam legem in membris meis repugnatem legi mentis   meae ». « Video meliora proboque, deteriora sequor », diceva già il poeta pagano: « Veggio il meglio ed al peggior m'appiglio ». Tutto quanto è dovere, tutto quanto è bene costa sacrificio. E' dunque necessità di natura farsi violenza, combattere le proprie inclinazioni inferiori: « Castigo corpus meum et in servirtutem redigo ». Chiunque voglia compiere del bene, fosse pure un pagano, fosse pure un ebreo, deve usarsi violenza: « Militia est vita hominis super terram ". La lotta è dunque necessaria agli uomini.

Secondo principio

La lotta è tanto più necessaria per un cristiano. Egli è anzitutto un seguace di Gesù Crocifisso, e non sarebbe degno dìscepolo se non seguisse il Maestro. Questo Maestro, « Christus non sibi placuit" non piacque a se stesso, ma sempre piacque al Padre: « quae placita sunt Ei f acio semper n. E così ci insegnò: « Qui vult venire post me... tollat crucem suam et sequatur me. Qui non renuntiat omnibus quae possidet non potest meus esse discipulus ". E' tracciata la via: rinneghi se stesso. Ora l'io sì concentra nelle tentazioni della carne, nella concupiscenza del denaro, nella superbia della vita, nella passione predominante.

Terzo principio

Non coronabitur nisi qui legitime certaverit. Se vuole arrivare alla gloria, il mezzo più sicuro è rinnegare se stesso. Se noi aspiriamo alla gloria, aspiriamo ad essere compagni nella sofferenza: « Si compatimur et conglorificemur ».

Quarto principio

Noi abbiamo il carattere di soldati di Gesù Cristo. Soldato vuol dire militare; militare vuol dire combattere. E' la natura stessa di cristiano che ci obbliga a combattere la passione predominante. Il carattere di soldato ci fu impresso nella S. Cresima.

Quinto principio

Come Sacerdoti e come religiosi dobbiamo combattere. Come Sacerdoti noi siamo i capitani dei soldati, cioè di quelli che hanno il carattere di cristiani, che hanno il carattere di soldati di Gesú Cristo. Il capitano non deve seguire, ma precedere. Deve precederli col suo esempio per dire: Venite dietro di me.

Sesto principio

Siamo religiosi: il religioso non è altro che colui che vince splendidamente le tre concupiscenze, rinnegando se stesso anche in quello che sarebbe lecito in altri stati. Vince la concupiscenza della carne col voto di castità, vince la concupiscenza del denaro col voto di povertà, vince la superbia col voto di obbedienza. Dietro a questi principii noi veniamo a concludere: o vincere o morire. Chi si sottrae alla battaglia è un imboscato, è un disertore, sarà un vinto.Proponiamoci di vincere come uomini, come cristiani, come religiosi, come sacerdoti.

Come uomini

L'umile attirerà tutti dietro di sè; il superbo si alienerà tutti:, egli ha voluto da tutti la lode, egli ne raccoglie profondo disprezzo. E' sempre vero che chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato. Per l'umiltà si ha il progresso nello studio, si ha il progresso nel proprio ufficio; per la superbia si resta vuoti. L'uomo altero è un uomo irragionevole, quindi è sopolto sotto il peso del proprio io.
L'avaro è uno schiavo non soltanto di se stesso, ma del proprio denaro. Egli per lo più raccoglie e non gode: quale infelicità maggiore che accumulare soltanto per gli altri? e se godrà!... Le ricchezze sono spine: nessun ricco fu mai felice. Morirà in un letto spinoso.
Il goloso ha in se stesso il proprio castigo : ne uccide più la gola che la spada. Il goloso si accorge che è un uomo basso - triviale; in lui non può abitare lo spirito di Dio. Egli non avrà mai aspirazioni nobili ed alte. Egli striscierà sempre sopra la terra, sarà un adoratore del proprio ventre.
L'uomo moritificato invece gode una vera libertà: mangia per vivere e vive per servire a Dio.
Il lussurioso abbrevia la propria vita: non termina la soddisfazione che già incomincia l'avvilimento, e la puntura del rimorso uccide il corpo che egli vorrebbe vedere soddisfatto. Pene sono: cecità della mente, l'incostanza, l'inconsiderazione e particolarmente il timore della morte e l'orrore dell'eternità, che aderiscono alle sue ossa e l'accompagnano alla tomba.
L'invidia era raffigurata dagli antichi in una donna vecchia, scarna, rabbiosa, che tiene in mano il proprio verme roditore, che infigge il suo morso al cuore.
L'ira ha press'a poco le stesse conseguenza dell'invidia. L'indignazione, il turbamento della mente, il clamore, le risse, le bestemmie, le maledizioni, le sedizioni, sono tutte conseguenze dell'ira. L'uomo mite guadagna i cuori, l'uomo iracondo allontana tutti.
Conseguenze anche più terribili sono quelle che dipendono dall'accidia, cioè dal, languore spirituale, dalla pigrizia nei nostri doveri. L'accidioso non è ben veduto da Dio, non è ben veduto dagli uomini,  non riesce a nulla. Successo infelice nei suoi studi, successo infelice nei suoi uffici, nei : suoi lavori, nelle sue imprese. Odia chi lo  scuote, ha rancore per chi gli vuol bene: " In odio a Dio ed ai nemici sui ».
O vincere dunque o essere dei vinti: l'uomo vittorioso gode una grande pace nel proprio cuore; l'uomo vinto è in continua pena. L'uomo vittorioso gode stima dagli uomini; l'uomo vinto è disprezzato. L'uomo vittorioso è benedetto da Dio; l'uomo vinto è da Lui disprezzato. L'uomo vittorioso ha fortuna nei suoi studi e nelle sue imprese; l'uomo vinto è un disertore, un infelice per tutta quanta la vita.
Entriamo nella battaglia come Davide contro Golia: uno dei due deve vincere. Il duello è all'ultimo sangue; non vi è via di mezzo. "Quae conventio Christi ad Belial? "
La luce non è tenebre, come vizio non è virtù.
O con Cristo o contro Cristo; o il Paradiso o l'inferno.

Come Cristiani

O vincere o morire.
Il nome di cristiano significa: simile a Gesù Cristo, seguace di Gesù Cristo. Ora Gesù Cristo era umile, purissimo, povero, mansueto: come può dirsi suo imitatore e discepolo il superbo, il disonesto, l'iracondo, l'avaro?
Diceva Alessandro Magno ad un soldato che portava il suo nome, ma era fiiacco, vile e pauroso: " O cambi nome o cambi abitudini ".
Ecco un pensiero che converti un gran cavaliere, assai mondano: Gesù Cristo è crocifisso, ed io voglio soddisfarmi; Gesù Cristo è poverissimo, ed io ambisco ricchezze e golosità; Gesù Cristo è sulla croce, ed io me ne sto su un letto di piume. Ah, che io non merito il nome di cristiano! Voglio mutare vita, voglio seguire il Maestro Divino.
Quanti cristiani che non hanno che il nome ed il battesimo di Gesù Cristo, vivono quasi come pagani! Quale vergogna, quale rimorso! E perchè? Perchè non hanno vinto le loro passioni; ne sono anzi delle miserabili vittime.
Non ama Gesù Cristo chi non lo imita: l'amore è imitazione; le anime che davvero amano Gesù sono le anime che lo seguono al Calvario, nella vita privata di obbedienza, nell'umiltà. L'imitazione è il carattere infallibile per distinguere gli amanti di Gesù.
Di fronte all'eternità ecco la necessità dell'imitazione: " Quos praescivit et praedestinavit conf ormes fieri imagini Filii sui " . Al giudizio, Gesù Cristo ricercherà in noi la sua immagine morale, la sua fisionomia spirituale, quasi direi le sembianze del suo Cuore. Solo chi rassomiglierà a Gesù verrà ammesso al regno di Dio; tutti i figli dovranno rassomigliare al Figlio primogenito.
Non vi è dunque via di mezzo: o vincersi o perdersi. Il Cielo è la patria dei vittoriosi. Che han fatto i beati del Cielo? Hanno vinto e trionfato delle passioni e del peccato. Gesù Cristo è il capo dei vincitori. L'inferno è l'ignominia dei vinti, dei miseri schiavi di se stessi. E non importa che siano stati uomini eletti nelle armi, nelle arti, nelle scienze, nei commerci; spesso si incontrano degli uomini forti in tante cose, ma senza coraggio, poi, e schiavi di fronte ad una miserabile passione.
Una delle due eternità ci aspetta. Rimarrà il carattere. Nell'eternità sarà conservato il carattere di soldato di Gesù Cristo, a gloria per il soldato valoroso, ad ignominia per il vile che ha disertato la battaglia. Queste due schiere corrispondono alla distinzione che vi è nel tempo fra i cristiani: dei valorosi lottatori, dei deboli e paurosi che si dànno per vinti.
E' notissima la considerazione che fa a questo proposito S. Ignazio. Egli paragona Gesù Cristo ad un re temporale che alza la sua bandiera ed invita ad arruolarsi sotto di essa gli uomini, per conquistare un grande regno: Gesù Cristo è il grande Re degli  Eletti. E d'altra parte ci rappresenta Satana, principe dei reprobi, che alza pure la sua bandiera. Ed ecco che una schiera di eroi si unisce a Gesù Cristo; ecco che una schiera di infelici si unisce a Satana. Ed ecco la finale conclusione di quest'epica lotta: Gesù Cristo, che rivolto ai suoi fedeli soldati dice: " Venite, o benedetti, nel regno del Padre mio ". Ed ai  disertori:" Andate,  o  maledetti, nel fuoco eterno preparato al demonio e ai suoi seguaci » .

Come Religiosi

Il religioso deve vincere magnificamente. Lo stato religioso è infatti una condizione stabile di vita in cui si tende ad una più alta perfezione, mediante l'esercizio di obbedienza, castità, povertà perfetta nella vita comune. Il lavoro del religioso primieramente è questo: tendere alla perfezione. E questo diviene il suo mestiere, la sua professione, la sua occupazione: lavoro e applicazione che volgono particolarmente attorno alle tre grandi concupiscenze. Il religioso 'e il poeta della lotta, è lo specialista delle battaglie, è colui che per assicurarsi la vittoria impegna maggiori mezzi, usa armi scelte, persevera con l'ostinata tenacia di una vita intera, totalmente e unicamente consacrata a questo fine.
Il religioso ne fa professione: cioè consapevolmente, con voto pubblico, in faccia a Dio ed alla Chiesa, al popolo cristiano ed alla propria coscienza, si impegna a compiere questo lavoro.

Si noti:

il voto obbliga gravemente;
è un triplice voto;
è un voto pubblico;
è un voto in istituto approvato dalla Chiesa; e a questo scopo vi sono abito, organizzazione, mezzi esterni.
Ne consegue, secondo l'isegnamento dei Teologi, che il religioso è tenuto a tendere alla perfezione sotto pena di peccato grave, con l'esercizio dei mezzi ordinari di tutti i cristiani in generale, con quelli particolari dello stato religioso, e con quelli speciali della sua Famiglia o Istituto.
Dunque, o vince e diviene un magnifico trionfatore, o si lascia vincere e cade in un abisso di ignominia ove la sua condizione di religioso serve soltanto a moltiplicare i peccati.
Nella Chiesa militante lo stato religioso rappresenta appunto lo stato di maggior santità. Esso è connaturale alla Chiesa, che rifulge maggiormente della sua nota di santità per lo stato religioso. Esso è indistruttibile, perchè voluto da Gesù Cristo, che lo istituì con la parola, con la grazia,   con l'esempio. Esso mai può venire come regola sconsigliato, essendo un diritto delle anime tendere alla santità, alla perfezione della virtù quale appunto si ha nello stato religioso, nel quale non solo si tende al distacco dai beni terreni, ma alla povertà perfetta; non solo alla purezza, ma ad una castità perfetta; non solo all'umiltà, ma ad una perfetta obbedienza.
Lo stato religioso è la rivendicazione di questo diritto ed è l'impegno preso di imitare, anzi vivere della vita di S. Giuseppe, di Maria SS., di Gesù C. stesso. " Maria optimam partem elegit ». O una vittoria tale che solo il Cielo premierà, o un'ignominia che solo l'inferno castigherà appieno. " Vos qui reliquisti omnia et secuti estis me, centuplum aecipietis et vitam aeternam possidebittis ". Ed una gloria speciale: più vicini a Gesù Cristo in Cielo, come più vicini a Lui sulla terra. "Quanto è difficile che un ricco entri nel regno dei Cieli! "
Ma che cosa sarebbe di un religioso che non corrispondesse? " Melius erat si natus non fuisset homo ille ". Una sconfitta clamorosa!
Il religioso fedele alla sua vocazione è già a un Angelo sulla terra n dice un Santo Padre: angelo di purezza, angelo di distacco, che pare non abbisognare che di un minimum sulla terra; angelo perchè fa la  volontà di Dio " ... in terra come si fa dagli Angeli in Cielo ». Quanto grande sarà dunque la sua gloria fra le celesti schiere!

Come Sacerdoti

Il religioso sacerdote è anche un condottiero, è colui che capitana una parte dell'esercito di Gesù Cristo, dell'esercito militante.
E in qual modo adempirà il suo incarico divino?. Col precedere i soldati nell'insegnamento, nella virtù, nella preghiera. Chi insegna soltanto, predicando, non ottiene la vittoria: occorre l'esempio di santità, la vita pia che merita. Quando il sacerdote va innanzi a tutti, precede nella lotta, nella, mortificazione, nella pratica della virtù, allora trascina: exempla trahunt! Il popolo cristiano, infiammato dalla sua parola, trascinato dal suo ardore, muove alle sante conquiste della virtù e del Cielo. I soldati passano bene sulle orme del : capitano che passa per primo, para i colpi e abbatte il nemico principale.
Beato il prete che vince crocifiggendo in se stesso le concupiscenze; poichè anch'egli potrà ripetere: "cum exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum! "
Che volete invece che ottenga il capitano che grida: " Armiamoci e partite "? Bisogna dire: " Armiamoci  e  partiamo ". Un capitano che va dietro non indica la strada, non rende animosi i cuori, non sostiene gli smarriti. Quel sacerdote che precede tutti nella scienza sacra, che è il primo alla preghiera, che non vede che Dio ed anime e dice parole infuocate all'esercito, è come Napoleone: il suo sguardo, la sua parola, la sua sicurezza suscitava energia, accendeva l'ardore.
Vi fu un sacerdote specchio di innocenza, povero come Gesù, cercatore di umiliazioni, che diceva con franchezza: « Vi vorrei tutti come sono io; imitate me! » Chi è? È S. Paolo, il quale rese proprie le parole di Gesù Cristo: " Imparate da me, vi ho dato l'esempio », perchè prima aveva portato in se stesso la vita di Gesù Cristo.
È chiaro, ed aspettatevelo: un sacerdote fiacco andrà a perire trascinando altri con sè nella rovina; un sacerdote che precede nell'umiltà, purezza, distacco dalla terra condurrà alle più alte conquiste il suo esercito.
O vincere con molti o morire con molti!...

COME VINCERE LA PASSIONE PREDOMINANTE


Perché si ha da prendere di mira la passione predominante e tendere ad acquistare la virtù opposta alla medesima?
1) Perchè essa è la più pericolosa. Sant'Ignazio aveva in religione un giovane di naturale violento. Il Santo gli diceva: " Vinci questo naturale, in Cielo avrai una corona più. splendente! » È la più forte; di essa dunque dobbiamo temere maggiormente. È la più profondamente radicata; dunque quando meno ce l'aspettiamo può sorprenderci e farci rovinare. Se ne hanno talora manifestazioni anche nei momenti più sacri, anche nelle funzioni più delicate.
Mai si può essere al sicuro: Nec in praeterita virtute confides; anche - quando appare domata non c'è a fidarsene: le passioni si vincono, non si distruggono. 2) Perchè, vinto il capitano, si trionfa facilmente di tutto l'esercito. Giuditta mirò subito al capo dell'esercito nemico: Oloferne. Se ella avesse ucciso anche mille soldati e cento sottocapi, non avrebbe sbaragliato il nemico, nè liberata la sua città; ma, trionfando di Oloferne, la vittoria fu completa. Dice.S. Francesco di Sales che per profittare molto nella perfezione, conviene attaccarsi ad una cosa sola, ad un sol libro di divozione, o... ad una sola virtù, e simili.

Non già che si debbano rigettare e trascurare affatto tutte le altre cose; ma in modo che questa alla quale uno si appiglia, si prenda per ordinario più in particolare di mira e come principale oggetto della più frequente applicazione. Dice S. Alfonso Rodriguez: " La principale cosa, alla quale abbiamo da mettere gli occhi addosso, per mortificarla e sradicarla da noi, è la passione predominante: cioè quell'affetto, quell'inclinazione, quel vizio o cattiva abitudine che più regna in noi, che ci tira dietro a sè e ci mette in maggiori pericoli e più frequentemente ci fa cadere in maggiori errori. Perchè? Perchè, preso il re, è vinta la battaglia. E finchè non faremo questo; non faremo grande avanzamento nella perfezione.
Mentre efficacemente si attende all'acquisto di una virtù; le altre tengono dietro come attirate da quella prima. Le virtù sono
intimamente collegate, poichè esse non sono che fiammelle di uno stesso fuoco: la carità, o la costituiscono, o l'accrescono, o ne sono la luce, o ne sono il calore. Sebbene i libri considerino le virtù con molte distinzioni, esse in realtà nell'anima non sono che un'unica virtù; come si distinguono tante potenze, attitudini, operazioni nell'uomo, ma in realtà è un unico io. Chi cammina innanzi con i suoi piedi va innanzi con tutto il corpo; chi porta innanzi il suo capo va innanzi con tutto il corpo. La fede frutterà la speranza, la carità, il distacco dalla terra, lo spirito di sacrificio ecc.; l'umiltà attirerà la fede, la carità, lo spirito di orazione, la pace col prossimo ecc.; il santo amor di Dio ecciterà la speranza, farà fiorire la castità, la pazienza col prossimo ecc.
Portate il vostro cuore molto vicino a Dio, anzi sostituite il vostro cuore con quello di Gesù: sarete molto santi; abbiate la mente molto vicina alla mente di Gesù, anzi sostituite la vostra mente con la sua: voi sarete assai perfetti; la vostra volontà sia del tutto unita alla volontà di Dio, anzi sia sostituita dalla volontà di Gesù Cristo: sarete subito totalmente buoni figli di Dio.

Principio I

La lotta contro le passioni dovrà durare a lungo? Si, fino all'ultimo respiro: le passioni non muoiono. " Sono diciotto anni che prendo la mia collera per il collo ", ecco la dichiarazione di un Santo. "Quanto alla mia superbia, sarei contento che essa morisse tre ore dopo che sarò spirato! " Così parla un uomo che ha mai dato tregua alle sue passioni. Che dire di chi invece le ha soddisfatte parecchio, tante volte anzi? Sovente, anche sul letto di morte la superbia, l'ambizione vogliono scegliersi il funerale, l'accompagnamento, la cassa, la tomba.
Le passioni si possono però frenare, sebbene non muoiano. E qui sta la mortificazione: mortuum facere, render come morte le nostre tendenze sregolate, in maniera che non nuociano più. Si tratta di imbrigliare il cavallo, direbbe S. Giacomo, perchè lo si possa guidare ritraendolo dai precipizi e sospingendolo diritto sulla buona via.
L'ultima pratica di pietà a lasciarsi nell'estrema nostra malattia dev'essere l'esame di coscienza; perchè non bisogna mai perdere di vista chi può giocarci qualche brutto tiro; la passione. L'esame di coscienza è appunto il tenere d'occhio il nostro io, propenda esso più alla superbia, o alla sensualità, o all'attaccamento alla terra. Ogni giorno, dunque, con le armi in pugno, sul campo di battaglia, fino alla corona: " Bonum certamen certavi... in reliquo reposita est mnihi corona iustitiae ".

Principio II

Se ci persuadessimo che il merito sta più nella lotta che nel pacifico possesso della virtù, noi faremmo assai più progresso. Il soldato guadagna la medaglia al valore non sotto la tenda, non quando siede a custodire i trofei e le conquiste fatte, ma allorchè combatte da prode e vince.
La nostra passione predominante è un terribile nemico, è un'occasione delle maggiori lotte; per chi fugge la lotta, diventa occasione di molti peccati; per chi invece affronta coraggiosamente il nemico, diventa occasione dei meriti più grandi. È migliore chi vince se stesso che colui che espugna una fortezza. È relativamente facile accostarsi alla Comunione, recitare un Rosario; ma vi sono delle passioni così aspre, delle fasi di lotta che richiedono estrema violenza a noi stessi. San Girolamo si vince percuotendosi il petto con un sasso; un Santo si getta in uno stagno di acqua freddissima; un altro va a rivoltarsi in uno spinaio; moltissimi ricorrono a digiuni, a flagelli, a discipline asprissime; i più trionfano col sorriso sulle labbra, navigando pure a tutt'uomo contro corrente. « Tantum proficies quantum tibi ipsi vim intuleris » (Imit.).

Principio III

« Omnes Sancti per multas passiones et tentationes transierunt et pro fieerunt ". I Santi tutti passarono attraverso a molte prove e molte tentazioni, e così progredirono nella virtù, nella perfezione cristiana, nei meriti. L'uomo di buona volontà riceva il suo profitto spirituale dalla tentazione per la divina grazia. " Facit cum tentatione proventum " .
Il giovane che incontra molte difficoltà, scoraggiamenti, dubbi, tentazioni di ogni sorta, più tardi diventerà il consolatore efficace; diverrà l'angelo che saprà incoraggiare ogni anima alla lotta, alla conquista del Cielo. Ma chi non incontra difficoltà, che cosa saprà? " Qui non est probatus quid sit? " Il Divin Maestro stesso volle portare le debolezze dell'umana natura e provò nell'orto del Getsemani la infermità della carne." Debuit fratribus similari " come dice San Paolo " ut misericors fieret ".
Due sorta di anime danno fiducia scarsa:   quelle non tentate, e peggio quelle che, tentate, non lottano.
Allorchè le passioni sono molto vive, riesce più aspra e difficile la lotta; ma le stesse passioni ben guidate saranno una sorgente di forza nel ben operare. Aspiriamo alla vera gloria, alla gloria eterna. L'ira divenga zelo contro il peccato; l'amore sia diretto al Signore. Allorchè tutto sarà impegnato contro il peccato e per il Signore: mente, cuore, volontà, quale potenza! quanto cammino! " Viam mandatorum tuorum cucurri cum dilatasti cor meum "

Tre sono i mezzi generali da mettersi in opera per vincere la nostra passione predominante: l'esame di coscienza, la preghiera, lo sforzo. Inoltre, in ogni stato vi sono mezzi speciali che risultano dalle condizioni di vita e dalle obbligazioni del proprio stato. La generosità della volontà è il segno del fervore; è per parte nostra il mezzo più importante di lotta; è la condizione a ricevere grazie dal Signore. Al Signore non piacciono i tiepidi:
" Utinam frigidus esses! sed quia tepidus es incipiam te evomere ex ore meo ". Sono le opere che dimostrano il grado della volontà.
L'esame di coscienza. Dobbiamo togliere l'io in quanto fa capo alla concupiscenza   nostra, sentita più violentemente: cioè in quanto si mostra guasto dalla passione predominante. E al posto del nostro io mettere Dio, aflinchè Egli viva in noi. "Vivo ego, jam non ego: vivit vero in me Christus ". L'esame è dar la scalata all'io; è la continuata opera demolitrice del piccone che instancabilmente opera dalla mattina alla sera, da un anno all'altro. La preghiera poi, liturgica specialmente, attira in noi Gesù Cristo, vivo, pensante, operante, amante. Esame di coscienza e preghiera: ecco il continuato e vitale espirare ed inspirare del cristiano.
L'esame di coscienza abituale è un continuato  sguardo, è l'occhio costantemente volto all'anima: a) negli Esercizi Spirituali; b) nei ritiri mensili; c) nelle confessioni settimanali; d) nell'esercizio spirituale di ogni mattina; e) nell'esame della visita al SS. Sacramento.
Ogni esame dà un duplice sguardo: al passato e al futuro: Come ho fatto? Come farò?

Negli Esercizi Spirituali: Come ho passato l'anno? che programma-proposito preparo e svolgerò l'anno prossimo?
Nei ritiri mensili: Come ho scorso il mese ora terminato? Come passerò il mese che incomincio?
Nelle Confessioni settimanali: Sono stato   fedele al mio proposito principale durante la settimana? Rinnovo oggi la mia risoluzione più fermamente e più umilmente?
Ogni mattina prima della Comunione: Ieri ho mancato, oppure sono ancora rimasto scarso su qualche punto: ora vado alla S. Comunione per fortificarmi per la giornata.
Nella visita cal SS. Sacramento l'esame di coscienza occupa un posto importante: si ammira la santità di Gesù Maestro e si piange la propria vita così dissimile; si prega con molto calore e desiderio, affinchè la nostra vita si modelli sugli esempi divini: " conformes fieri imagivi Filii sui ".
La necessità dell'esame di coscienza è tale che tutti i santi ne fecero grande uso; tutti gli istituti di famiglie religiose lo impongono; tutti i Maestri di spirito lo consigliano insistentemente. È noto quanta parte Sant'Ignazio gli diede ed esige che ad esso si dia. " Mane propone, et vespere discute mores tuos, qualis hodie fuisti in verbo, opere et cogitatione... Exteriora nostra et interiora pariter nobis scrutanda sunt et ordinanda, quia utraque expediunt ad perfectionem " (Imit.).
Qui però si parla dell'esame particolare su di un determinato proposito che si riferisce alla passione predominante. Esso deve abbracciare il pensiero, la volontà, il  cuore; poichè la correzione nostra ed il cammino nella perfezione vanno sempre a pari passo: mente, cuore, volontà. Esso deve segnare il progresso dell'amor di Dio: " amerai il Signore Dio tuo con tutta la tua mente, con tutte le tue forze, con tutto il tuo cuore ".
La preghiera è la elevazione della mente che dà onore a Dio, ed insieme una domanda, per noi, delle cose che ci abbisognano.
Là grazia medicinale è la suscitatrice dì tutte le nostre energie; è il calore che fa maturare tutte le buone risoluzioni; è il grido dell'anima bisognosa, debole, inferma.
Essa è necessaria come il respiro all'anima, come l'acqua alla pianta, come il cibo al corpo.
S. Alfonso scrisse un libro intero sull'orazione e fa l'augurio che ognuno lo legga: e dice anzi che il leggerlo è un segno di predestinazione divina.
Vi sono grazie, molte grazie che agli adulti Dio non dà se non è pregato. Perciò ecco la conclusione notissima che S. Alfonso fa: " Chi prega si salva, chi non prega si danna ".
L'orazione è non solo utile, ma strettamente necessaria nella lotta spirituale contro il difetto predominante. Là si concentrano le passioni, il demonio, il mondo, con tutti i loro sforzi; là dunque c'è speciale bisogno di grazia. " Clamabit ad me et ego exaudiam eum ".
L'orazione è di infallibile efficacia trattandosi di grazie spirituali, di santificazione, di Paradiso. Ora è qui appunto che si applicano le parole di Gesù: "Tutto quello che chiederete al Padre in nome mio, in verità vi dico, Egli ve lo darà ".
Chi non si poggia sull'orazione si avvia alla rovina. Golia entrò, fidando in sè, alla lotta; il giovanetto Davide pregò e si fidò assai più di Dio che della fionda e dei sassi, ed atterrò il gigante. Gesù nell'orto pregò; perchè " spiritus quidem promptus, caro autem infirm "; ed ottenne. Pietro lasciò la preghiera come gli altri apostoli e cadde con essi. L'episodio del Vangelo si ripete ogni giorno per ognuno di noi.
Lo sforzo. Il cammino alla  virtù è un andare contro corrente: per cui occorre navigare a tutta forza impiegando i remi. L'acquisto di una virtù richiede di farsi violenza, di usare virilmente forza. La perfezione lo richiede, il regno di Dio richiede sforzo, ed i violenti lo conquistano. Lo sforzo é necessità di natura, poichè esclama S. Paolo: " Infelix ego homo! quis me li= berabit de morte corporis hujus? " La carne ha desideri contrari allo spirito: è dunque necessario combatterla , per vincerla. Dobbiamo mai dimenticare che la perfezione non si acquista con le braccia in croce, ma che conviene faticare davvero per domare se stesso e ridursi a vivere non secondo le inclinazioni, ma secondò la regola e l'ubbidienza. La cosa è dura, non può negarsi, ma necessaria; coll'esercizio diventa facile e gustosa (S. Francesco di Sales). " Qui Christi sunt carnem suam crucifixerunt cum vitiis et concupiscentiis suis ".
È cosa d'ogni giorno: reprimere, eccitare, raddrizzare, ritrarre, scuotere, frenare. Molte anime che si dicono pie, giungo fino alla preghiera, alla Comunione; ma chi vuol progredire deve compiere due passi in più: esame di coscienza e sforzo.

Lo sforzo è una salvaguardia contro i pe­ricoli. La causa ben frequente e lacrimevole per cui certe persone rovinano di abisso in abisso, è la fiacchezza, mollezza, mancanza di sforzo. L'educazione di oggi, anche frequentemente l'educazione alla pietà, è senza nerbo; forma scarsamente al sacrificio. Il Maestro Divino invece parla con una chiarezza e forza che ci deve far meditare: « Se il tuo occhio ti scandalizza, strappalo, gettalo lontano...; se il tuo piede ti scandalizza, taglialo, buttalo via...; se la tua mano ti scandalizza, troncala subito...

È meglio andare in Cielo con un solo oc­chio, una sola mano, un sol piede... piuttosto che con due membri essere gettato nel fuoco ». L'incendio che consumò l'intera cit­tà ebbe principio da una scintilla che con un soffio avrebbe potuto spegnersi! « Principiis obsta, sero medicina paratur, cum per longos invaluere moras... ».
La mancanza di sforzo è la causa comunissima per cui tanti propositi non si met­tono in pratica e tante passioni prendono il sopravvento. Ricordiamo invece: « Unus­quisque mercedem accipiet secundum suum laborem n.
Lo sforzo richiede che si ricorra a tutti i mezzi ordinari; anche a mezzi straordi­nari: mortificazioni, penitenze, ripieghi; ri­chiede una santa ed ostinatissima ostinazione nei propositi, nella preghiera e nei gemiti, per riuscire. La vita di guerra non è vita di pace; lassù il riposo eterno, qui la fatica, i travagli, le tentazioni. Bisogna lasciar dire al mondo chiacchierone, lasciare che il demonio faccia il suo chiasso. Bisogna consigliarsi, detestare, piangere, vigilare, rialzarsi se caduti: la santità è un frutto che si deve mangiare col sudore della fronte e dell'anima; qualche volta le anime molto amate da Dio sono come associate al sudore di sangue e dell'agonia di Gesù nell'orto.

Mezzi speciali si possono trovare nei nostri doveri quotidiani e doveri del proprio  stato.
Lo Stato Religioso ha mezzi eccellenti per dominare le concupiscenze, specialmente le tre concupiscenze maggiori dell'uomo. La superbia è domata dall'obbedienza continua, perfetta. Infatti nella Religione tutto è fissato dall'obbedienza: le pratiche di pietà, il tono anzi della pietà, l'ufficio in cui occuparci, le persone di convivenza ecc. " Erat subditus illis " : il religioso, come il suo Divino Modello, obbedisce a persone che per talenti possono anche essere inferiori, ma che dispongono per Divina Autorità. Così fu per Gesù verso S. Giuseppe. La vita comune determina tutto: orario, vitto, vestito, alloggio ecc. ecc.: il religioso ha un continuo esercizio di sottomissione e abbassamento. La perfezione dell'obbedienza religiosa mantiene sempre la umiltà del cuore viva, sentita. La concupiscenza della carne con le sue manifestazioni della pigrizia, della golosità, della sensualità, hanno una continua correzione nell'esercizio della bella virtú. Questa si deve portare sino alla perfezione di un voto perpetuo che esclude ogni soddisfazione esterna ed interna. La continuità delle occupazioni, l'aiuto di un'assidua assistenza, la separazione dal mondo, le pratiche di pietà abbondanti danno all'anima un calore spirituale, un ambiente caldo di amore a Dio. In esso cresce il giglio della purezza. La concupiscenza dell'avarizia, o comodità dei beni temporali, è medicata dal continuo ricordo dei beni eterni. " Tesoreggiate pel Cielo; ricordate lo spogliamento della morte; amate le vere ed eterne ricchezze ", si sente sempre ripetere il religioso. Egli poi spinge la povertà fino al voto, alla rinunzia ai frutti del proprio lavoro, in tutto dipende quanto all'uso delle cose necessarie, ed ogni cosa per lui è povera, " come per Gesù ", a somiglianza del quale il religioso non ha di proprio neanche una pietra su cui posare il capo.

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