Giaccardo, Timoteo Maria (al secolo Giuseppe)

Poster 2011

di G. Maggi

GIACCARDO, Timoteo Maria (al secolo Giuseppe). - Nacque il 13 giugno 1896 a Narzole, in provincia di Cuneo, da Stefano e Maria Gagna, in una famiglia di mezzadri che lavorava nella piana tra Cherasco e Narzole. Tutta la sua esistenza fu influenzata dallo stretto rapporto con Giacomo Alberione, il sacerdote originario di Fossano conosciuto nel maggio 1908, quando questi venne inviato nella parrocchia di Narzole. Alberione favorì la vocazione del G. al sacerdozio, adoperandosi anche per risolvere i problemi economici che si posero alla famiglia perché potesse frequentare il seminario di Alba; quando il G. vi fece il suo ingresso, nell'ottobre 1908, Alberione iniziava, in quello stesso seminario, il servizio di direttore spirituale.
Tutto l'impegno del giovane G., oltre che allo studio, si rivolse, allora, a dominare e forgiare il proprio carattere: ancora meno che ventenne manifestò l'intenzione di sviluppare soprattutto la dote dell'"umiltà verso Dio, verso il prossimo, verso me stesso" e di operare la sua "completa trasformazione in Cristo" (Diari intimi, 1915). Questo orientamento spirituale si accompagnò pure a un'accentuata devozione mariana, che lo portò a dedicarsi alla composizione di preghiere per la Vergine.
Fin dall'inizio del 1917, sulla scia del suo mentore Alberione - che in quel medesimo torno di tempo andava costituendo il gruppo di giovani dediti all'apostolato per la buona stampa, nucleo fondante della futura Pia Società S. Paolo -, il G. individuò proprio nella dedizione al potenziamento di una stampa cattolica il centro dei suoi interessi: "l'idea regina della mia vita, la signoria della mia mente, della mia volontà, del mio cuore" (ibid., febbraio 1917). Alberione prese a conferirgli incarichi di sempre maggiore delicatezza e responsabilità, ma il vescovo di Alba, mons. G.F. Re, mise il G. di fronte alla scelta se seguire il suo maestro nell'apostolato della stampa o continuare in seminario la preparazione al sacerdozio. Così, l'8 dic. 1917, il G. fece la sua prima professione religiosa nella Società S. Paolo. Da allora sviluppò ancora di più la virtù dell'obbedienza verso il suo "primo maestro", e ne assunse lo stile di lavoro e di vita, mettendo in secondo piano lo studio per meglio seguire tutte le mansioni, anche manuali, proprie dell'attività tipografica.

Ciononostante, nel 1919 si laureò in teologia a Genova e il 19 ottobre dello stesso anno venne ordinato, primo sacerdote della Società S. Paolo. A partire da questo momento, salvo una fugace esperienza come coadiutore domenicale nella parrocchia di Benevello, tutta la sua vita si svolse all'interno della Società. Al momento di rinnovare i voti, nel giugno 1920, gli venne imposto da Alberione il nome di religione di Timoteo Maria. Già la scelta del nome esprime "le relazioni mie col primo maestro, che sono quelle stesse di s. Timoteo (discepolo devotissimo dell'apostolo) con s. Paolo" (Lamera, p. 95), e costantemente il G. riaffermò la volontà di assoluta e totale sottomissione alla guida di Alberione, che si faceva anche "unanimità amorosa" (ibid.), ponendosi, cioè, come fattiva mediazione nei non pochi momenti di tensione tra il "primo maestro" e persone interne o esterne alla Società. Il G., in effetti, si rendeva conto dell'estrema durezza della disciplina imposta dal fondatore (fin dal febbraio 1918, nei Diari intimi, l'aveva qualificata come "rigidezza da carabiniere"), ma il suo sforzo fu sempre quello di accettarla totalmente, "fedelissimo tra i fedeli" come Alberione ebbe a definirlo. Formulò addirittura il voto di offrire "l'olocausto del mio volere e della mia volontà alle disposizioni del primo maestro". E scrisse nelle sue note intime, il 16 sett. 1931: "Io avrò verso il fondatore filiale comprensione, fino all'eroismo; filiale docilità, fino all'eroismo; filiale fiducia, fino all'eroismo".
Nella congregazione paolina, la cui gerarchia interna era ancora poco strutturata, il G. svolse il ruolo di economo e insieme anche quello di "maestro", cioè di guida spirituale e intellettuale dei ragazzi che affluivano, sempre più numerosi, al richiamo di Alberione e della sua opera. In un primo momento si occupò solo dei più piccoli, ma poi le sue attenzioni si estesero ai maggiori, che si preparavano alla professione religiosa. A partire dal 1923 seguì anche la formazione spirituale delle appena istituite figlie di S. Paolo. Da questa attività, che lasciò un segno profondo in tanti religiosi e religiose, gli derivò l'appellativo di "signor maestro" che, all'interno della Società, lo accompagnò per tutta la vita. Nel gennaio 1926, Alberione concepì il proposito di fondare una casa paolina a Roma; ordinò, allora, al G. di trasferirvisi insieme con un gruppo di giovani discepoli nel giro di pochi giorni, senza alcuna preparazione, fidando solo nella provvidenza. E, a Roma, il G. trovò il sostegno insperato di I. Schuster, abate di S. Paolo fuori le Mura, e del direttore della Civiltà cattolica, il gesuita E. Rosa. Iniziò, quindi, a pubblicare il settimanale La Voce di Roma, poi un numero sempre più grande di bollettini parrocchiali e diocesani. Nel 1927 acquistò dai benedettini, in via Grottaperfetta, un terreno e un piccolo fabbricato, che poi provvide ad ampliare e che divenne sede della comunità paolina.

Richiamato ad Alba nel 1930, ritornò a Roma due anni dopo, per restarvi fino al 1936, quando venne nuovamente convocato nella cittadina piemontese per predicare un corso di esercizi spirituali. Proprio in questo frattempo, Alberione si trasferì a Roma, probabilmente anche a seguito di malintesi e incomprensioni insorti con il vescovo di Alba, L.M. Grassi; e, da Roma, conferì al G. l'incarico di superiore della casa madre della famiglia paolina. Nello stesso tempo gli affidò il gruppo delle pie discepole del Divin Maestro, l'ultima nata tra le congregazioni da lui fondate. Il G. interpretò il nuovo ruolo che era stato chiamato a svolgere ad Alba come il "ministero di conservare, interpretare, far penetrare, far passare e scorrere lo spirito e le direttive" dell'Alberione. Di fatto acquisì la benevolenza di tutti coloro con cui ebbe rapporti e, anche nei mesi difficilissimi della lotta di Liberazione, riuscì a preservare la casa paolina dai pericoli più gravi, anche se, nel settembre 1944, un bombardamento la danneggiò, provocando pure alcune vittime. Nell'ottobre 1946, il G. si trasferì nuovamente a Roma per assumere l'incarico di vicario generale della Pia Società S. Paolo. In tale veste si dedicò alla redazione del direttorio che doveva riassumere il carisma e le tradizioni spirituali proprie della congregazione. Spese inoltre molte energie per ottenere l'approvazione pontificia per le pie discepole. Dopo il trasferimento a Roma, si erano accentuate le crisi di spossatezza che da tempo lo tormentavano, e che si scoprì essere originate dalla leucemia.

Il G. morì a Roma il 24 genn. 1948. Fu proclamato beato il 13 maggio 1989. I suoi Diari intimi, in parte pubblicati (Diario 1913-1925, 1942-1946. Pagine scelte, Roma 1996), sono custoditi a Roma presso la Postulazione generale della Pia Società S. Paolo. In vita pubblicò: Un mese a S. Paolo. Letture ed esempi, Alba-Roma 1925; Regina degli apostoli, Roma 1928; Cech, l'eremita, Alba-Roma 1932; Ossequi a Maria regina degli apostoli, ibid. 1934; Alla scuola di S. Paolo. Un mese di meditazioni, Alba 1941. Postumi sono stati pubblicati: Mi protendo in avanti, ibid. 1954; Dai tetti in su. Pensieri spirituali, Roma 1956; Pensieri di incoraggiamento, Milano 1966. Fonti e Bibl.: Beatificationis et canonizationis servi Dei T. G., sacerdotis e Pia Societate S. Pauli positio super virtutibus, Romae 1979; S. Lamera, Lo spirito di d. T. G., Roma 1956; G. Papasogli, Il beato T. G. della Società San Paolo, Cinisello Balsamo 1989; E. Fornasari, Un profeta obbediente. Beato T. G., primo sacerdote paolino, Cinisello Balsamo 1989; G. Kaitholil, Bl. T. G., apostle of modern media, Bombay 1996.

Treccani.it