ABHINC ILLUMINARE VOLO

 

La celebrazione della memoria liturgica del Beato Giaccardo, che quest’anno, per la prima volta, cade nella nuova data stabilita dalla Santa Sede, il 19 ottobre, giorno della sua Ordinazione sacerdotale, è stata messa molto opportunamente, in questo avvio del Centenario di Fondazione, in relazione ad uno dei capisaldi della impostazione spirituale e carismatica che il Beato Giacomo Alberione ha voluto eleggere quasi a vessillo per l’orientamento della vita di tutti i suoi figli e figlie spirituali: il Maestro Divino, Lumen Gentium, desidera “illuminare” il mondo attraverso la vita e la testimonianza religiosa e apostolica di ogni paolino e di ogni paolina.

ABHINC ILLUMINARE VOLO

Il Beato Timoteo Giaccardo quale destinatario e propagatore della Luce del Divin Maestro

La celebrazione della memoria liturgica del Beato Giaccardo, che quest’anno, per la prima volta, cade nella nuova data stabilita dalla Santa Sede, il 19 ottobre, giorno della sua Ordinazione sacerdotale, è stata messa molto opportunamente, in questo avvio del Centenario di Fondazione, in relazione ad uno dei capisaldi della impostazione spirituale e carismatica che il Beato Giacomo Alberione ha voluto eleggere quasi a vessillo per l’orientamento della vita di tutti i suoi figli e figlie spirituali: il Maestro Divino, Lumen Gentium, desidera “illuminare” il mondo attraverso la vita e la testimonianza religiosa e apostolica di ogni paolino e di ogni paolina.
Nel Vangelo del resto, Gesù stesso si presenta come luce: “Io sono la luce del mondo”, proclamò nel tempio di Gerusalemme (Gv 8:12). Parola che ripeté più volte, dandone segni concreti come quando diede la luce ad un cieco, o quando insegnando, illuminò, in modo chechi lo seguì non camminò più nelle tenebre, ma ebbe “la luce della vita” (Gv 8:12).
La vita di Gesù, fatta di opere e di insegnamento, sarà come il riverbero della sua luce.

Percorse le strade della sua terra per illuminare col suo messaggio di luce: “Chi mi segue non camminerà più nelle tenebre (non si perderà), ma avrà la luce della vita” (Gv 8:12).
Il Maestro Giaccardo apprese ben presto da don Alberione a relazionarsi con il Cristo “Luce” e fare di questa relazione d’amore l’irradiazione di una presenza che salva. Egli, che traeva questa luce dal Tabernacolo, il luogo che viene indicato come l’”abhinc” ossia la provenienza della luce divina (ab hinc illuminare volo) individuò nell’apostolato della buona stampa l’occasione privilegiata per, a sua volta, illuminare il mondo con la luce del vangelo, avendo come obiettivo precipuo e irrinunciabile quello che potremmo riassumere nel lucano “rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte”(Lc 1,79).
 Ma Tutto questo Egli lo visse anzitutto “illuminando” con la luce che è Cristo la sua vita spirituale e ottenendo da Dio la grazia di “unificare” in Lui ogni aspetto della sua interiorità. Don Timoteo ha custodito gelosamente e vissuto in pienezza la sua devozione al Divin Maestro Via Verità e Vita, spiritualità necessaria per una piena identificazione in Cristo e come fonte e sorgente dell'impegno apostolico paolino.
 
Questa identificazione piena con il Signore, cammino nel quale l’abbandono di se stessi alla salvatrice potestà  di Dio è sorgente di luce e diviene essa stessa luce,  non è mai rinuncia, ma attiva libertà di scelta dell’“unum necessarium”, il Cristo. Il Signor maestro, nel suo Diario infatti scrive: «Dobbiamo vivere non solo alla presenza di Dio, ma alla presenza di noi stessi, alla presenza della nostra coscienza che è la legge di Dio in noi: questo ci porta al raccoglimento. Viviamo lietamente dentro di noi. Quando si vive fuori da noi stessi, si è incapaci di distinguere il bene dal male, si disperdono tante energie... L'interiorità evita la dispersione di energie e rende l'azione più intensa, più dinamica, più realistica. Più si è interiorizzati e più si è persona. Meno si è interiorizzati e meno si è persona. Più siamo spirituali, più siamo
posseduti dallo Spirito di Cristo, ci lasciamo formare e costruire da Dio e siamo disponibili a fare ciò che Dio vuole da noi».
 
La luce del Signore illumina dunque  il cammino interiore lo rende  autentico e lo traduce l'impegno apostolico, mantenendo alta la costanza nel dono di sé anche quando questo comporta anche fatica, sofferenza, nascondimento.
 Nel suo Diario Timoteo ci testimonia come, per poter seguire i “grandi sogni” di don Alberione, i grandi progetti apostolici visibili nei primi tempi solo grazie al “Lumen Fidei”ossia con la luce della fede per la quale, specie nei primi tempi dell’esperienza paolina, ormai cento anni fa, ognuno era chiamato a un costante progresso dello spirito, a costruire una personalità specificamente cristiana e religiosa. E questa crescita dell'uomo interiore e del vero religioso può avvenire anche attraverso il dolore e la sofferenza, utili al rinnovamento dell'uomo interiore e a una autentica disponibilità vocazionale.  Dio ha illuminato il cammino di don Timoteo e lui si è lasciato condurre dalla mano paterna di Dio nella scelta della sua vocazione, nelle situazioni derivanti dai suoi impegni e nelle scelte fondamentali della sua vita, nelle quali risalta maggiormente il suo fiducioso abbandono al volere di Dio Padre e del Primo Maestro. Egli scrive:«Dio ci prende per mano. Basta non sottrarla».
Nella vita del Beato Timoteo si trova ben più di una pratica applicazione delle  richieste di Dio e del Fondatore, anzi l’incarnazione di un “ideale che vale più della vita”, disposto a qualsiasi sofferenza e fatica.  Nella lunga esperienza di “maestro” ed educatore di generazioni di paolini e paoline, don Giaccardo, come ricorda don Alberione, avviò tutti “a una profonda vita interiore”. Egli infatti invita a seguire Cristo come unificatore ideale e principio di unità. Seguendo Cristo Dio e Uomo, diveniamo più uomini, più integri e umanizzati.
Sempre nel suo Diario Egli scrive: «Il Divin Maestro è lo specchio di ogni perfezione umana e divina, perché in Lui è presente l'umanità in tutta la sua bellezza e integrità, Egli è l'ideale dell'uomo, del cristiano, del religioso: conoscere il Divin Maestro, servirlo, onorarlo e amarlo è fonte, regola e culmine di perfezione, inizio di beatitudine».
Don Timoteo suggerisce anche la semplicità, come principio illuminante di integrazione umana. Essa nasce dall'umiltà. Durante tutta la sua esistenza, spesa alla scuola del maestro Divino e di San Paolo il Beato Giaccardo intese realizzare concretamente quanto insegnava vivendolo lui per primo soprattutto nell’eroica impresa di seguire, in tutto e per tutto, la “vulcanica” personalità del fondatore. Non sempre fu facile e non mancarono le incomprensioni, veri e propri momenti di “oscurità”, dei quali troviamo abbondante traccia nel Diario.
Eppure c’è un momento preciso della sua vita che Egli stesso ci comunica nel quale, grazie alla luce di Dio e nella luce di Dio Egli ora “vede chiaro” per la sua vita e per quella della Congregazione.
Resta memorabile, infatti quanto egli scrisse all’indomani della notizia del suo trasferimento ad Alba a dieci anni dalla fondazione di Roma: “Ora mi pare di vedere chiaro e si determina sempre di più il mio ministero: conservare, interpretare, fare penetrare, fare passare e
scorrere lo spirito e le iniziative di don Alberione. Ed io accetto in spirito di umiltà questo ministero con animo docile, affettuoso, sincero: io devo essere unanimità amorosa ed operosa. Questa è la mia missione, il mio merito, la mia gloria, il mio paradiso”.
Adesso che dopo sessantasei anni le sue spoglie mortali ripercorreranno lo stesso viaggio da Roma ad Alba, possiamo riascoltare idealmente dalla sua voce questa vera e propria professione di fede in Colui che con la sua luce ha illuminato il mondo e del quale ora don Timoteo contempla la divina presenza nella gloria dei Beati.

Don Guido Timoteo Colombo, ssp

alberione.org/100anni