Sabato Santo |
Maria Donna di Gerusalemme (don Andrea Santoro: martire in Turchia) |
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Tutte le chiese e le cappelle oggi hanno l’altare spoglio e il tabernacolo vuoto. Entrando in esse uno sperimenta una sensazione strana: di freddezza, di vuoto, di assenza. Non si sa dove rivolgersi per pregare: il tabernacolo aperto ci ricorda che il Signore non c’è... La morte lo ha rapito, il sepolcro lo ha inghiottito. Dove volgere lo sguardo? La Scrittura ci suggerisce un atteggiamento con il quale vivere questa giornata in cui tutto sembra sospeso? Si. E’ l’evangelista Luca (23, 50-56) che questa mattina si pone al nostro fianco per aiutarci a vivere il mistero del Sabato Santo. Nel suo racconto circa la sepoltura di Gesù egli ci fa dono di una frase che può profondamente illuminare questa giornata. Si tratta di un breve inciso, di poche parole dette con discrezione... Egli scrive: Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del Sabato. “Già splendevano le luci del Sabato”. Nessun altro evangelista ha questa annotazione. Perché Luca sente di doverla aggiungere? Quale è la sua portata? A che cosa rimanda? In ogni famiglia ebraica, fino ai nostri giorni, il Sabato viene accolto attraverso una piccola liturgia familiare che si apre in questo modo: la madre di famiglia circondata dai bambini più piccoli, accende le luci del Sabato, due candele. La preghiera che accompagna questo rito dice: Sii benevolo con noi, Signore e la tua Shekinah abiti in mezzo a noi... in Te infatti è la sorgente della vita; è nella tua luce che vediamo la luce. Mentre Gesù entra nel sepolcro, ci spiega Luca, è Dio stesso che accende nel cielo le luci del Sabato, rivestendo questo giorno santo dell’abito del compimento, della speranza, della novità. Le luci accese da Dio non saranno più spente da nessuno. Oggi inizia una liturgia eterna nella quale ciascuno di noi è invitato a prendere parte. Il cielo scende fino alle profondità della terra, fino agli inferi, e veramente la Shekinah di Dio stabilisce per sempre la sua dimora in mezzo alla comunità ecclesiale, comunità che raccoglie vivi e defunti. L’atteggiamento a cui ci invita Luca è quello di orientare il nostro sguardo, elevandolo dal sepolcro e dai tabernacoli vuoti verso il cielo, verso il discreto splendore delle luci del Sabato. Un grande rabbino spiegando la liturgia familiare del Sabato scrive: “Essa fa scendere il cielo in ogni casa, colmandola di una pace lungamente attesa e felicemente salutata. Essa fa di ogni casa un santuario, del padre un sacerdote e della madre che accende le candele un angelo di luce”. Pensate alla portata che queste parole possono avere per noi cristiani... Chi davanti al sepolcro, come le pie donne le tre Marie, riesce a contemplare le luci del Sabato, potrà recare nella propria vita la pace attesa, diventare sacerdote della logica di Dio e angelo di luce per chi gli vive accanto. Il segreto delle pie donne che hanno saputo stare ai piedi della croce e non hanno avuto paura di recarsi al sepolcro all’alba della risurrezione e che per tutto il Vangelo hanno solo servito, senza chiedere privilegi… consiste nel loro amore contemplativo e vero che supera anche la morte; hanno saputo restare in contatto personale con Gesù, ricavando da lui stesso questa grande voglia di cercarlo a tutti i costi. Scelta anticonformista e coraggiosa perché si tratta di amare pubblicamente colui che è rifiutato dalla stragrande maggioranza della gente compresi gli apostoli. Gesù che muore e che discende negli Inferi (anche oggi Dio lavora perché Lui è sempre all’opera per la salvezza di tutti), trova uno spazio di accoglienza in un piccolo gruppetto di pie donne che non lo abbandonano, come fanno tutti gli altri... Certo non capiscono ancora tutto quello che sta succedendo. Ma continuano a contemplare e manifestare il loro amore grato e pieno di fede. Nella fede l’essenziale non è essere in tanti, né capire tutto subito, ma piuttosto esporsi al contatto e all’azione dell’amore. Questo contatto è la contemplazione, cioè la vera preghiera evangelica intesa come uno stare a guardare l’amato, anzi, meglio ancora, un mettersi sotto lo sguardo d’amore di Cristo che vuole riversare nei nostri cuori la sua stessa sapienza e forza d’amare. Sant’Agostino diceva: “vedere, amare colui che mi vede e mi ama”. Anche oggi siamo chiamati ad offrire il nostro tempo e la nostra persona a disposizione dell’amore crocifisso e risorto, per essere trasformati dalla sua presenza. Stare nel raggio di quell’incomprensibile amore crocifisso e risorto, anche se avvolto nel mistero, lasciandosene contagiare, purificare e trasformare... Don Emilio Cicconi ssp
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