I FONDAMENTI DELL'APOSTOLATO IN S. PAOLO PER L'ANNUNZIATINA
Cellamaro (Annunziatina)
(Questa Relazione si trova nel libro : "Chiamate per l'Annuncio" assieme ad altre 12 che vanno dal 1982 al 1987)

( Per le citazioni sfoglia la Bibbia )

INTRODUZIONE


Nella Chiesa ogni. cristiano è missionario. Con la consacrazione battesimale e cresimale egli riceve la vocazione all'apostolato (cf AA, 3), divenendo perciò testimone (cf LG, 35) e predicatore della fede (cf LG, 17).
In modo particolare le persone consacrate vengono poste con la professione dei consigli evangelici nelle prime linee della missione apostolica della Chiesa, e quindi devono sentirsi impegnate a portare il messaggio di salvezza a tutti gli uomini (cf GS, 1) « affinché l'intera massa degli uomini diventi popolo di Dio, corpo mistico di Cristo e tempio dello Spirito Santo » (cf LG, 17b).
Un profondo « senso ecclesiale » deve animare, perciò, la nostra vita di consacrate e di apostole, così da farci sentire la bellezza della nostra missione nel costruire la Chiesa, ricordando quanto dice a riguardo la Costituzione dommatica " Lumen Gen­tium ". « Siccome... i consigli evangelici, per mezzo della carità alla quale conducono, congiungono in modo speciale i. loro seguaci alla Chiesa e al suo ministero, la loro vita spirituale deve essere pure consacrata al bene di tutta la Chiesa. Di qui ne deriva il dovere di lavorare, secondo le forze e il genere della propria vocazione... a radicare e a consolidare negli animi il Regno di Cristo e a dilatarlo in ogni parte della terra » (LG 44b).
Occorre a tutti i costi prendere coscienza del nostro apostolato e delle responsabilità che ne derivano, restando saldamente ancorate alla Chiesa, al suo Magistero, disprezzando ogni forma di autosufficienza e di eccessiva sicurezza, evitando tutto ciò che ci può allontanare dalla nostra vocazione specifica.
L'articolo n. 9 del nostro Statuto precisa il modello su cui deve tener fisso il suo sguardo 1'Annunziatina: « I membri degli Istituti si impegnano a cooperare con la Famiglia Paolina... affinché viva Cristo in ogni uomo, secondo lo Spirito di S. Paolo ».

CHI È S. PAOLO
PER L'ANNUNZIATINA


L'importanza di S. Paolo nella Chiesa è fuori discussione. Ma perché noi, Annunziatine, facciamo capo a S. Paolo, in modo particolare?
Chi è S. Paolo per noi?

La risposta ce la offre il nostro Fondatore: « Tutti devono considerare solo come padre, maestro, esemplare, fondatore, S. Paolo Apostolo. Lo è
infatti. Per lui la Famiglia Paolina è nata, da lui fu alimentata e cresciuta, da lui ha preso lo spirito » (AD, 2).
Ancora: «S. Paolo è il discepolo che conosce il Maestro Divino nella sua pienezza; egli lo vive in tutto; ne scandaglia i profondi misteri della dot del cuore, della santità, della umiltà e divinità, lo vede dottore, ostia, sacerdote e ci presenta il Cristo totale,come già si era definito Via,Verità e Vita» (AD, 159).
Infine:  « S. Paolo: il santo dell'universalità! ... La Famiglia Paolina ha una larga apertura verso tutto il mondo, in tutto l'apostolato... nell'unico apostolato " far conoscere Gesù Cristo ", illuminare e sostenere ogni apostolato ed ogni opera di bene; portare nel cuore tutti i popoli; far sentire la presenza della Chiesa in ogni problema... » (AD, 64-65).
Con queste parole Don Alberione ci indica i motivi principali per cui S. Paolo è l'ispiratore della nostra vita consacrata ed apostolica. Paolo conosce
e vive il Maestro Divino e presenta agli uomini il Cristo totale.
In S. Paolo noi possiamo scoprire l'essenza e la dinamicità dell'apostolato.


L'APOSTOLO
È UN CHIAMATO DA DIO


Prima di presentare le caratteristiche dell'apostolato di Paolo, occorre fare una precisazione: il modello originario dell'apostolo è la vita trinitaria, l'amore fontale del Padre che si dona al Figlio e ambedue si donano nello Spirito Santo. La partecipazione dell'uomo a questo amore divino, Dio ha voluto realizzarla con l'inviare il Figlio la cui incarnazione fu operata dallo Spirito Santo. Cristo, il mandato, è l'unico vero " apostolo " (cf Eb 3,1), l'autore e il modello di ogni apostolato. D'altra parte  S. Paolo ci presenta un'esperienza di fede e di apostolato fatta a misura d'uomo e traccia con la sua vita un disegno dell'apostolo assolutamente straordinario.
In quasi tutte le Lettere si presenta in modo chiaro e inequivocabile come « l'apostolo... per volontà di Dio » (1 Cor 1,1; 2 Cor 1,1) e rivela con grande sicurezza la sua dipendenza spirituale dal Cristo « chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo » (1 Cor 1,1).
La sua incombenza apostolica, quella di predicare il Vangelo, non gli è stata affidata da uomini, ma gli proviene da Gesù Cristo, apparso a lui sulla strada di Damasco perché divenisse « araldo, apostolo e maestro » (2 Tim 1,11), e gli proviene anche da Dio, il quale dopo averlo " segregato " dal seno di sua madre ed averlo chiamato con la sua grazia, si compiacque di rivelare in lui suo Figlio, perché lo annunciasse in mezzo ai Gentili (cf Gal 1, 15-16).
Notiamo subito che la chiamata all'apostolato è venuta immediatamente da Dio, senza altro intermediario che il Cristo: « Apostolo... non per mezzo di uomo, ma per mezzo di Cristo » (Gal 1,1); per questo Paolo sente il dovere di prendere le dovute distanze da ogni umana dipendenza.
Quindi la vocazione all'apostolato non è una scelta dell'uomo. È risposta libera alla chiamata e al lavoro dello Spirito: « Lui che ci ha pure segnati del suo sigillo e ha deposto la caparra dello Spirito nei nostri cuori » (2 Cor 1,21-22); Spirito che prevede, predestina, chiama, fortifica, spinge, accompagna fino al compimento dell'opera, che dovrebbe  coincidere con il termine della vita. « Coloro che ha preconosciuti - egli scrive -, li ha anche predestinati... Quelli che ha predestinati, li ha anche chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha anche giustificati; quelli infine che ha giustificati, li ha anche glorificati » (Rom 8,29-30).
Ricordiamo ancora le bellissime espressioni con le quali Paolo celebra la grandezza del ministero apostolico: « ministero dello Spirito e della giusti­zia » (cf 2 Cor 3,8-9), e ancora più edificante la espressione: « luce illuminante » (cf 2 Cor 4,6). Ora, dal momento che il mandante della sua missione è Dio, Paolo non si appella ad altri se non a Dio, non certo per arrogarsi un onore, ma per esercitare un dovere. Egli è ben consapevole della sublimità del mandato, ma è soprattutto consapevole che è un mandato di servizio. Per questo si preoccupa di una sola cosa: del fatto di essere stato scelto da Dio in mezzo a tanti uomini per annunciare Cristo e per trasmettere agli uomini i frutti del suo sacrificio redentore.
Ciò vuol dire che il Signore ha mostrato fiducia in lui, quindi non c'è posto per lui per considerazioni estranee a questo servizio: i rischi, la fa­tica, l'incertezza, il fallimento, dal momento che Cristo gli è apparso, lo Spirito lo ha trasformato, Dio lo ha mandato.


L'APOSTOLO TESTIMONIA
IL CRISTO SOFFERENTE E CROCIFISSO


Paolo considera la propria missione apostolica alla luce della croce: il mistero della croce rivive profondamente nell'esperienza dell'apostolo: « Egli   fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la virtù di Dio, e anche noi siamo deboli in lui, ma vivremo insieme con lui per la potenza di Dio » (2 Cor 13,4).
Il compito dell'apostolo non si esprime nella magnificenza e nella glorificazione, ma nella debolezza, nelle difficoltà, nei disagi che per Paolo rappresentano un motivo di vanto: « Io mi compiaccio nelle debolezze, nelle ingiurie, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle strettezze (sofferte) per Cristo. Infatti quando sono debole, è allora che sono forte » (2 Cor 12,10).
Ecco formulata la legge fondamentale dell'apostolato, che è una delle intuizioni più felici e profonde di Paolo. La motivazione è chiara: « .., noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi » (2 Cor 4,7). Il paradosso della vita apostolica è che il tesoro datoci da Dio rimane nascosto in un'esistenza fatta di debolezze.
L'apostolo non solo è ben lieto di soffrire persecuzioni e catene, ma è convinto che le sofferenze della sua carne e del suo spirito contribuiscono al bene comune: « Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne, quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa » (Col 1,24).
Gli apostoli di tutti i tempi sono chiamati a questa funzione complementare di sofferenze e di fatiche che hanno valore soltanto se congiunte alle
sofferenze di Cristo; quindi anche l'apostolo è un " corredentore " e un " consalvatore " e contribuisce al bene della Chiesa.
Paolo realizza, nella sua vita apostolica, la missione di Cristo, e questa lo immerge nelle difficoltà interiori ed esteriori che la sequela della cro­ce comporta. Nel proprio corpo conserva lo stato di Gesù morente, perché si manifesti la vita di Gesù; in unione con Cristo egli è un donatore di vita spirituale « e così in noi agisce la morte e in voi la vita » (2 Cor 4,12).
L'apostolo per Cristo si getta allo sbaraglio e quando è necessario, è pronto a pagare di persona. Per questo egli accetta l'insuccesso e le difficoltà, ed anche lo " stimulus carnis ": « E per l'eccellenza delle rivelazioni, perché non andassi in superbia, mi fu data una spina nella carne » (2 Cor 12,7).
Con queste parole Paolo rimanda ai segni della croce visibili nella sua vita e nel suo corpo. Il Cristo crocifisso è la massima espressione di donazione, e chi vuol fare l'apostolato deve entrare in questa logica della sofferenza, diversamente non potrà mai comprendere la propria esperienza di chiamato al servizio di Cristo.


L'APOSTOLO SERVO DEL SIGNORE
NELL'UMILTÀ


Accettando il Cristo " crocifisso ", ogni apostolo accetta la via dell'abnegazione, dell'umiltà, e Paolo ce ne lascia l'esempio. Per essere fedeli alla nostra missione, basta ricordare il suo comportamento ed imitarlo: « Voi sapete in quale maniera io mi sia comportato con voi..., servendo il Signore in tutta umiltà, con lacrime, in mezzo a tante prove » (At 20,18-19).
Nella Lettera al Filippesi Paolo esorta i cristiani e, quindi, a maggior ragione gli apostoli, a « non far niente per spirito di parte o per vanagloria, ma con tutta umiltà ciascuno consideri gli altri superiori a se stesso » (2,3).
L'umiltà, per l'apostolo, si traduce in uno stile di vita, in un atteggiamento affabile, in un giudizio col quale ci si stima inferiori agli altri: « Ciascuno stimi gli altri più degni d'onore » (Rm 12,10). Il concetto che Paolo ha dell'umiltà si armonizza perfettamente con l'altissima idea che ha della missione a lui affidata; benché fosse indegno, Dio lo ha scelto come testimone del Cristo risorto: « Infine... è apparso a me, come all'aborto. Io sono infatti il minimo degli apostoli » (1 Cor 15,8-9).
Commovente umiltà di Paolo! Di fronte alla grandezza del ministero apostolico, egli si professa il minimo di tutti. Se malgrado tutto, egli è stato scelto, lo deve unicamente alla bontà di Dio. « La grazia del Signore ha sovrabbondato in me » (1 Tm 1,14). Tutto noi abbiamo ricevuto da Dio e dagli altri, niente abbiamo di nostro: « Infatti che è che ti distingue? Cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? » (1 Cor 4,7).
Tutto ciò che legittimamente può renderci fieri, l'abbiamo ricevuto da Dio. Tale convinzione non ci permette di mostrarci orgogliosi con chiunque. Se siamo veramente consapevoli della nostra totale dipendenza dalla grazia divina, dobbiamo sentirci e farci piccolissimi sia dinanzi a Dio, che agli uomini.
Ecco come si presenta Paolo a chi l'ascoltava per la prima volta: « ... quando venni tra voi non mi presentai ad annunciare il Vangelo di Dio con  sublimità di linguaggio e di sapienza. Perché in mezzo a voi preferii di non sapere altro che Gesù Cristo, anzi Gesù Cristo crocifisso » (1 Cor 2,1-2); il suo è l'atteggiamento umile di chi testimonia soltanto il Cristo Crocifisso.


L'APOSTOLO SERVO DEL SIGNORE
NELLA POVERTÀ


Paolo insiste su un'altra qualità dell'apostolo: la povertà e il disinteresse. In lui è forte l'appello al distacco dai beni materiali. Le sue mani sono quelle di un operaio, incallite e rovinate dalla fatica, perché egli « non ha desiderato né argento né oro » (cf At 20,33-35). In questo notiamo la radicalità della sua scelta; c'è in lui un distacco assoluto da tutti quei beni che non siano i beni del mondo futuro, ai quali aspira con ogni fibra dell'animo.
Paolo ha lavorato durissimamente: « Sapete infatti come dovete imitarci: poiché noi non abbiamo vissuto oziosamente, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno » (2 Tes 3,8); e questo l'ha fatto per non essere di carico a nessuno e per mostrarsi completamente disinteressato; comportandosi in modo da essere d'esempio a tutti i cristiani, egli intende anche esortarli a guadagnarsi col sudore del proprio lavoro il pane che mangiano. Non bisogna avere nessun debito con coloro ai quali si annuncia il Vangelo. Il comportamento dell'aposto­lo deve convincere gli ascoltatori che tutto vien fatto nel più estremo disinteresse; solo così si può facilitare l'adesione al messaggio che si annuncia.


L'APOSTOLO SERVO DEL SIGNORE NELLA CARITÀ


Su questa lezione di disinteresse s'innesta di conseguenza una lezione di carità; carità che è una qualità superiore al disinteresse. « Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature... Voi ricordate infatti la nostra fatica e il nostro travaglio, lavorando notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno, vi abbiamo annunciato il Vangelo » (1 Tes 2,7-9).
Paolo è convinto che la radice dell'apostolato è l'amore: « L'amore di Cristo ci spinge » (2 Cor 5,14).
La Lettera ai Romani presenta questa carità come un dovere: quello che obbliga il cristiano a imitare l'esempio di Cristo. Ancor più degli altri, gli apostoli devono imitare nel proprio comportamento la carità di Cristo: « Ognuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene... Siate accoglienti gli uni verso gli altri, come anche Cristo vi ha accolti per la gloria di Dio » (Rm 15,2-7).
La regola suprema per la condotta dell'apostolo è l'esempio di Cristo. Questa carità verso il prossimo non nasce unicamente dal desiderio di assicurarsi la ricompensa eterna; l'apostolo prova dentro di sé la stessa premurosità di Dio. Paolo vuol insegnarci che tutti i valori umani hanno una sintesi che li realizza e li mette nella loro giusta graduatoria: la sintesi dell'amore: « Non abbiate altro debito con nessuno, se non quello dell'amore scambievole » (Rm 13,8). L'amore tutto compie e tutto vivifica in Cristo: « La carità non viene mai meno » (1 Cor 13,8).
Accettando il Cristo " crocifisso ", ogni apostolo accetta la via dell'assunzione dell'altro con tutti i suoi limiti, sente il bisogno di abbracciare nell'amore tutti gli altri, come Cristo, che sulla croce abbraccia l'universo e fa nascere dal suo cuore crocifisso la Chiesa (cf 1 Cor 1,17-18; 2,1-5).
Quindi soltanto rimanendo fedele al Cristo crocifisso, ogni rivalità viene vinta dalla forza dell'amore, di cui la Croce è il simbolo parlante.


L'APOSTOLO È APERTO A TUTTI


Paolo può definirsi il vero annunciatore ecumenico, perché sente fortemente in sé l'urgenza di indirizzare il messaggio salvifico a tutti gli uomini:
« Ora c'è gente che invoca il nome del Signore nei nostri e in tutti i luoghi » (1 Cor 1,2).
La coscienza apostolica universale di Paolo deriva dal suo contatto vitale col Cristo: « Ricevemmo la grazia e l'apostolato per sottomettere alla fede, nel nome di lui tutti i gentili » (Rm 1,5). E con la sensibilità di Cristo egli sperimenta, nell'intimo della sua coscienza, questo bisogno di evangelizzazione universale: « Colui che... mi chiamò per grazia sua e si compiacque di rivelare in me il suo Figlio, perché lo annunziassi in mezzo ai gentili » (Gal 1,15-16).
Solo una coscienza così forte e così universale, (cf Ef 3,8; Fil 1,16) dà a Paolo la forza di mettere a disposizione totale del Cristo e degli uomini la sua vita e di accettare per l'apostolato ogni tipo di lotta. È fondamentale mettere in rilievo questo: la visione e l'urgenza del " tutti ", che prende così profondamente Paolo e lo caratterizza nella sua azione, è determinata dalla sua spiritualità: è il suo specifico rapporto col Cristo che mantiene viva in lui l'istanza del " tutti "; il suo rapporto col Cristo decide il suo rapporto con gli uomini.

 

 

« Dio, nostro Salvatore vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità... per la quale io fui costituito banditore e apostolo, maestro dei gentili nella fede e nella verità » (1 Tim 2,4-7).
Questo pensiero è la forza spirituale che sorregge tutta la sua vita apostolica. Perciò Paolo si è fatto " tutto a tutti " « al fine di conquistarli a Cristo e di procurare loro la salvezza » (cf 1 Cor 9,19-22). Egli non ha trascurato alcun mezzo per raggiungere tutti, presentando la Parola di Dio a ciascuno nella forma più adatta per la loro situazione particolare, predicando in un modo ai Cristiani, in un altro modo a quelli che non lo erano ancora, in un modo ai giudei, in un altro modo ai greci (cf Rm 1,16; 2,9-10; 10,12; 1 Cor 1,24; 10,32); Paolo, cioè, ha cercato per tutti il mezzo più adatto con cui ognuno potesse arrivare alla salvezza.
Inoltre il suo è un apostolato inserito nelle istanze delle chiese locali ed ha il carattere della continuità e della metodicità: « E oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le chiese » (2 Cor 11,28). Queste parole ci danno la misura della grandezza spirituale dell'apostolo, il cui cuore pulsa per le necessità di tutte le chiese. Ogni vero apostolo rivive nel proprio cuore le gioie e le agonie della sua Chiesa locale e della Chiesa universale (cf 2 Cor 2,3).

L'APOSTOLO È COLMO
DI CORAGGIO E DI FIDUCIA


L'apostolo, nella sua opera di evangelizzazione, deve bandire ogni timore e alimentare in sé l'ottimismo e la fiducia, non nella benevolenza degli uomini ai quali reca il messaggio della salvezza, ma unicamente nel Signore, il quale gli garantisce protezione e aiuto. In Lui Paolo attinge forza e coraggio per parlare francamente, malgrado i rischi e i pericoli che deve correre: « Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? » (Rm 8,31). Questa affermazione ci mostra donde provenga a Paolo quella forza che gli impedisce di perdersi di coraggio. « Siccome possediamo il medesimo spirito di fede di cui sta scritto: ho creduto, per questo ho parlato, noi pure crediamo e per questo parliamo » (2 Cor 4,13).
In mezzo a tutte le difficoltà che l'opprimono, Paolo tiene duro, non si sottrae all'imperioso dovere di parlare, perché ha il coraggio di rimanere solo, qualora questo significhi qualcosa di necessario e di inevitabile. « Per questo, siccome tale ministero l'abbiamo in quanto ottenemmo misericordia, non ci avviliamo, al contrario abbiamo rinunciato agli infingimenti vergognosi, non camminando nell'astuzia, né subdolamente falsificando la parola di Dio » (2 Cor 4,1-2).
L'apostolo ha un'unica aspirazione, « manifestare chiaramente la verità » (2 Cor 4,3), senza arrossire, senza vergognarsi. Per questo Paolo esorta Timoteo, suo discepolo e compagno nell'attività missionaria, a non vergognarsi della testimonianza da rendere al Signore..., al contrario lo incoraggia a soffrire per il Vangelo, appoggiato alla potenza di Dio. Egli infatti... l'ha chiamato con una vocazione santa (cf 2 Tim 1,7-9).
Notiamo, quindi, che il primo motivo di coraggio Timoteo, come ogni apostolo, deve attingerlo dal suo intimo, dalla natura della sua missione, dalla sua vocazione, poiché la potenza di Dio lo ha investito. In virtù di questo interiore rafforzamento, l'apostolo non si vergognerà più di dare la sua testimonianza a Cristo, ma si sentirà piuttosto sollecitato a soffrire insieme agli altri apostoli per la causa del Vangelo.
E Paolo continua poi con una professione di fede: « Per tale motivo sopporto anche queste cose e non ne ho vergogna, perché so a chi ho creduto » (2 Tim 1,12). Qui Paolo ricorda chi gli è apparso sulla via di Damasco: il Cristo risorto e glorificato; a lui dà la sua fiducia incondizionata.
È sulla via di Damasco che si è perpetuato il più grande atto di fede e di amore, superato soltanto da quello di Maria Vergine.
Paolo, perciò, esorta tutti gli apostoli a fidarsi unicamente di Dio, che non costituisce solo l'oggetto della propria fede, ma anche la sorgente di forza a cui si alimenta la fede stessa per non subire alterazioni.


L'APOSTOLO
È PAZIENTE E GIOIOSO

Un'altra qualità che Paolo raccomanda di possedere nel lavoro apostolico è la pazienza: « In ogni cosa, invece, da ministri di Dio, raccomandiamo noi  stessi nella molta pazienza » (2 Cor 6,4-5); essa diventa un segno del vero apostolo: « Certo che in mezzo a voi si sono compiuti i segni del vero apostolo, in una pazienza a tutta prova » (2 Cor 11,12); pazienza che si rivela e si dimostra soprattutto nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce la pazienza » (Rm 5,3 ss). Per Paolo la pazienza è costanza, è forza d'animo nelle più dure prove della vita, è la virtù principale dell'apostolato. Questa pazienza ce la dona lo Spirito Santo, la pazienza che alimenta la speranza (cf Rm 5,4), che non è altro che corrispondenza al dono che Dio ci fa del suo amore.
Infine in Paolo è frequente l'invito ad essere « sempre lieti » (1 Tes 5,16), a possedere la gioia e la letizia spirituale; infatti per ben 12 volte detta ai Filippesi la gioia, gioia che può dare soltanto il Cristo risorto: « Me ne rallegro e gioisco insieme a tutti voi » (Fil 2,18). « Rallegratevi nel Signore » (Fil 3,1). « Siate sempre lieti... il Signore infatti ci è sempre vicino » (Fil 4,4-5).
Da tener presente che la vera gioia nasce solo dal possedere in noi « la pace di Dio » (Fil 4,7) e « il Dio della pace » (Fil 4,9). Questa gioia l'apostolo deve saperla comunicare con delicatezza e garbo anche agli altri. « La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini » (Fil 4,5), perché il dono di un po' di gioia vale immensamente.


L'APOSTOLO
È IL BUON ODORE DI CRISTO


Riassumendo, l'apostolo di cui parla Paolo in tutte le sue Lettere è mirabilmente definito nella 2 ai Corinzi, il « buon odore di Cristo » (2 Cor 2,15). Per questo Paolo sente il dovere di « rendere grazie a Dio che in Cristo sempre ci porta in trionfo e per mezzo nostro spande il profumo della sua conoscenza in ogni luogo » (2 Cor 2,14). Quindi per Paolo l'azione apostolica serve a rendere sempre più grandioso " il trionfo " di Cristo ed è, di per se stessa, " il buon odore " che promana da Cristo, e che può recare " vita " o " morte " a seconda che venga accettata o meno (cf 2 Cor 2,16).
Da Paolo la missione dell'apostolo è considerata una missione grandiosa, un impegno che prende tutta la nostra vita; essa può portare risultati davvero sconcertanti, in quanto è Dio che dà la grazia e la forza sufficienti per adempierla e rimanervi fedeli senza alcun mercanteggiamento (cf 2 Cor 2,17).


CONCLUSIONE


In maniera semplice e concisa ho cercato di presentare le principali caratteristiche dell'apostolato di Paolo, per delineare le vere credenziali dell'apostolo. Le sue indicazioni costituiscono un punto di riferimento costante per l'apostolo di tutti i tempi, qualora questi voglia farsi pensoso sul tesoro che porta nascosto nelle profondità del suo essere: « la chiamata di Dio », « il mandato che gli è stato concesso », e voglia ritrovare nel modello dell'apostolo Paolo ragioni di freschezza e di feconda rigenerazione. E ciò vale anche per noi, perché invita ciascuna Annunziatina a ripercorrere l'itinerario aposto­lico di Paolo per " formarsi " o " rinascere " come autentica consacrata dall'amore di Dio, per un servizio ai fratelli.
In primo luogo l'Annunziatina deve ricordare che a base della sua missione c'è la " chiamata divina " (cf Statuto, art. 40); essa è così necessaria che se mancasse, si dovrebbe dire che manca il fondamento della sua vita.
Dio gratuitamente l'ha chiamata senza alcun merito personale, unicamente per la sua immensa e misericordiosa benevolenza; l'ha elevata alla vita divina, l'ha rigenerata alla vita soprannaturale della grazia mediante il battesimo, l'ha invitata ad essere sua cooperatrice nell'opera redentiva attraverso la elezione avvenuta col dono della consacrazione. Quello stesso Gesù che chiamò con la sua viva voce i primi apostoli, ha chiamato ciascuna di noi con il linguaggio interiore e misterioso della sua grazia, anche se svariatissimi sono stati i mezzi sensibili di cui si è servito. Perciò, ogni Annunziatina, lungi dal sentirsi in una posizione di privilegio o di autorità, ma mossa unicamente dal pensiero che « Cristo l'ha amata », risponde con S. Paolo « l'amore di Cristo mi spinge » (2 Cor 5,14) e non trova risposta più adeguata a questo amore che la donazione totale della propria vita a Dio per la salvezza dei fratelli.

C'è una realtà fondamentale nel pensiero e nella logica di Dio: la gratuità. Quindi anche il nostro servizio sia gratuito: se diamo solo per avere, i nostri gesti non saranno gesti d'amore, anche se il più delle volte diamo loro questo nome, ma saranno solo un baratto, con tutta la povertà che ne consegue. Dobbiamo, perciò, convincerci che sul tema dell'amore ci deve essere in noi grande chiarezza, im­pegno serio di vita, integrità, sottrazione ad ogni. dispersione. E questo tipo di amore, di conseguenza esige il sacrificio. L'Annunziatina non s'illuda: la redenzione del mondo non si realizza a base di applausi, né con lamentele e sospiri, ma con la risposta pronta e generosa ad affrontare qualsiasi sacrificio. Se è veramente innamorata di Cristo e ansiosa di farlo conoscere agli altri, non si preoccuperà di sé, lavorerà senza riposo, pregherà incessantemente, si sacrificherà generosamente e donerà volentieri tutto quello che ha, compresa la sua vita, se questo sarà necessario. Sarà il chicco di grano che marcisce per portare molto frutto. Ella lotterà attraverso la propria professione, con una evangelizzazione vissuta e illuminata, presente e attiva in ogni ambiente, in tutti i fronti e in tutti i sistemi.
Come Cristo, come Paolo, anche lei dovrà provare la solitudine, il rifiuto, la riprovazione, le prove che sono proprie della risposta che ha dato alla " chiamata divina "; dovrà rinnegare il proprio io umano, superbo, pauroso; dovrà essere una persona coraggiosa e sicura che rischia fino in fondo, perché crede nella bontà della sua chiamata; che sa resistere nella lotta; che sa sfidare tutti e tutto con l'aiuto del Signore. Non avrà bisogno di suggerimenti e di simboli per pregare con fervore, lavorare con impegno, soffrire con amore, donare con generosità e donarsi con gioia perché è convinta che il Signore le ha fatto il grande onore di chiamarla al suo servizio nelle prime linee dell'impegno apostolico.
Perciò, a noi, Annunziatine, Paolo... offre l'opportunità di verificare la qualità della nostra missione e ci invita a domandarci con estrema sincerità:

1) Sono convinta che Dio mi ha chiamata, mi « ha scelta fin dal seno materno » per annunziare il messaggio di Cristo?
2) Qual è l'atteggiamento interiore che io ho assunto di fronte alla missione per la quale Dio mi ha creata?
3) Nello svolgimento della mia attività apostolica, mi lascio « spingere dall'amore di Cristo » e mi lascio guidare dallo Spirito Santo?
4) Ho il coraggio di annunciare il Vangelo sfidando tutto e tutti, senza lasciarmi travolgere e assimilare dalla mentalità e dalla moda del tempo?
5) Il mio stile di annuncio è basato sulla fiducia in Dio, sulla verità, sull'amore, sul disinteresse, sull'attenzione, sulla generosità?
6) Di fronte alle difficoltà che l'annuncio della Parola comporta, ho il coraggio di continuare a diffondere il messaggio di libertà e di speranza, senza cedere alla tentazione di abbandonare ogni cosa o di conciliare le esigenze del Vangelo con lo spirito del mondo?
7 ) Sono convinta che annunciare il Vangelo significa pagare di persona, giocarsi la vita, perché il Signore, e non io, sia conosciuto, amato, glorificato?
8) Io consacrata, nella mia vita di apostolato, lascio trasparire il volto del Cristo povero, umile, obbediente, sofferente, paziente?
9} Il messaggio del Cristo lo dono in un clima di ottimismo e di gioia pasquale?
Se sono veramente paolina, la mia vita deve essere in simbiosi con Cristo, cioè essere, secondo le espressioni di S. Paolo, « configurata, comparteci pe, conformata, sofferente » con Cristo, per essere, poi
 « conglorificata ».
Perciò debbo convincermi che il mio apostolato non è un fare da me, ma è un collaborare con Cristo, quindi, prima di ogni mio lavoro apostolico occorre che io mi metta in ginocchio davanti a Gesù Eucaristia e gli dica: « Signore, ora voglio lavorare con te ».
Questo è l'insegnamento di Paolo.

 

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