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CORRIERE DELLA SERA


Oggi il Papa proclama beato il fondatore di congregazioni e case editrici che credeva nella missione del giornalista. Ed esce la sua biografia

Don Alberione, vivere come San Paolo e cavalcare Internet

Il problema pare irresolubile. Da una parte un ebreo della Diaspora, nato duemila anni fa a Tarso, in Cilicia, e perciò cittadino romano immerso nella cultura ellenistica. Dall' altra il quinto di sette figli d' un fittavolo piemontese nato il 4 aprile 1884 nella borgata San Lorenzo di Fossano e cresciuto fra le brume della campagna cuneese, cascina Perussia, un locale al pianterreno per mangiare e dormire, la stalla come giaciglio in inverno e il fienile d' estate. Difficile pensare che due uomini simili possano avere qualcosa in comune. Però Don Giacomo Alberione, ai suoi, lo ripeteva sempre: «Vivete come San Paolo». E per chiarire il concetto amava ripetere le parole di Wilhelm von Ketteler, grande intellettuale dell' Ottocento nonché vescovo di Magonza: «Se San Paolo tornasse al mondo, farebbe il giornalista». Sono frasi da tenere a mente, se si vuole capire l' uomo che questa mattina, in piazza San Pietro, Giovanni Paolo II proclamerà beato per la gioia della Famiglia Paolina, dei 17.774 sacerdoti, religiose e laici che ne proseguono l' opera in 62 Paesi. Quando morì, il 26 novembre 1971, in ginocchio al suo capezzale c' era Paolo VI. Nel frattempo - dal 20 agosto 1914 e l' apertura ad Alba della «Scuola tipografica piccolo operaio» - don Alberione aveva fondato cinque congregazioni religiose (Società San Paolo, Figlie di San Paolo, Pie Discepole del Divin Maestro, Suore

di Gesù Buon Pastore, Suore di Maria Regina degli Apostoli), quattro istituti secolari (Gesù Sacerdote, San Gabriele Arcangelo, Maria Santissima Annunziata, Santa Famiglia) e un' associazione di laici (Cooperatori Paolini). Aveva creato case editrici, stampato libri e riviste, esplorato tv, radio e cinema, diffuso più di un milione e duecentomila copie della mitica «Bibbia da mille lire» per rimediare all' analfabetismo delle Scritture: «Una "parrocchia di carta" che ha come confini il mondo», come ha scritto Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, fondata nel 1931. E tutto per seguire l' esempio dell' Apostolo che aveva predicato il Vangelo anche ai non ebrei e aperto il Cristianesimo al mondo: Asia Minore, Macedonia, Grecia, Roma. Domenico Agasso ha appena pubblicato una biografia del beato, «Don Alberione, editore per Dio» (ed. San Paolo, 9 euro ), e racconta lo stesso slancio, aggiornato ai tempi. Folgorato dalla Lettera ai Romani, don Alberione era mosso da una convinzione: «Il mondo ha bisogno di una nuova evangelizzazione». La chiamata risale alla «notte fra due secoli», la veglia del sedicenne Giacomo dal 31 dicembre 1900 al 1° gennaio 1901. Il mondo stava cambiando, «la stampa e il giornale fanno ora i pensieri, i sentimenti, l' uomo: formano l' opinione pubblica». Così, l' 8 dicembre 1917, accadde qualcosa che nella Chiesa non s' era mai visto: davanti a Don Alberione, i primi cinque ragazzi si impegnarono solennemente a «consacrare tutta la vita a Dio nell' Apostolato della Stampa». «Un mistico», lo ricordava il biblista Gianfranco Ravasi alla presentazione del libro. Che però aveva capito come i mass media siano una sorta di acquedotto, «la rete è importante ma l' essenziale è che l' acqua sia buona», spiegava Ettore Bernabei. Dotato di «una visione manageriale della santità tutta piemontese», sorrideva lo scrittore Vittorio Messori. Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere, ha insistito sulla sua «etica del lavoro», un esempio così importante anche per i laici: «Saper essere importuni e talvolta inopportuni». Non c' è da stupirsi che un sondaggio Internet abbia proposto don Alberione come patrono della Rete, c' era già tutto nella lettera ai Filippesi: «Per me infatti il vivere è Cristo», scrive San Paolo, «proteso verso il futuro».


Vecchi Gian Guido
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(27 aprile 2003) - Corriere della Sera